Recensioni

Libri: Aids, media e il dibattito nelle comunità gay
(Notiziario Libri ANSA) – Milano, Sett. 2013
CHE COLPA ABBIAMO NOI – LIMITI DELLA SOTTOCULTURA OMOSESSUALE – DI MATTIA MORRETTA (GRUPPO EDITORIALE VIATOR, PP. 345, 18,00 EURO)

   Mentre in Italia si discute di coppie di fatto, in Francia e altrove divampano le proteste per i matrimoni gay e l’omofobia è una piaga della società, Mattia Morretta, psichiatra psicoterapeuta e sessuologo, operatore storico del servizio pubblico milanese per Hiv, cofondatore e primo presidente dell’Associazione Solidarietà Aids, pubblica “Che colpa abbiamo noi – Limiti della sottocultura omosessuale”, un saggio di denuncia rispetto alla normalizzazione del dibattito attorno alle tematiche omosessuali anche all’interno delle comunità gay.

    Ricordando Pier Paolo Pasolini, l’autore definisce i suoi “scritti corsari” proprio perché lontani dal politically-correct e graffianti anche e soprattutto nei confronti del mondo omosessuale che si è lasciato normalizzare dai media. Morretta parte ricordando il quinquennio che va dal 1987 al 1991 e che definisce «età dell’oro dell’associazionismo gay in Italia». L’Associazione Solidarietà Aids, ricorda «A differenza del linguaggio militare delle principali Ong, che hanno puntato da subito a diventare nazionali e a durare, non parlava di lotta contro e aspirava a portare alla luce risorse locali, territoriali […] Si voleva costruire una piccola comunità, un paese in cui tutti avessero un posto definito e fossero conosciuti con nome e cognome (cimitero compreso) […] Non era tanto questione di affrontare a testa alta o bassa la morte, erano in gioco la dignità e l’onore più che il coraggio, l’educazione alla nobiltà d’animo attraverso la coscienza della mortalità».

Passata quell’esperienza, anche l’Aids è diventata «una miniera d’oro» e per un intero decennio «le campagne ministeriali, supervisionate dalle Ong, hanno mirato a coinvolgere tutti, a fare massa, pur senza invitare ad una disciplina comune». C’è stata – è la denuncia dell’autore del libro – una deresponsabilizzazione: « Eccettuati pochi attivisti gay malati il cui volto è potuto diventare dignitosamente pubblico tre il 1988 e il 1993, dobbiamo constatare che i nostri personaggi gay Hiv positivi (scrittori, stilisti, artisti…) sono usciti di scena in modo defilato, talora scomparsi d’un tratto, senza dare alcun buon esempio e dire una parola per gli altri».

 Al mondo omosessuale mancano “i padri”, cioè quelle voci capaci di dire cose scomode, di cantare fuori dal coro, perché Pasolini, Zeffirelli e Visconti «sono stati gli ultimi omosessuali italiani pubblici a poter restare, nonostante tutto, più persone, per la grandezza fuori misura di intellettuali e artisti». Non si può dire lo stesso, secondo Morretta, dei molti stilisti e anche di molti intellettuali.

Dalla presa di coscienza con la scoperta dell’Aids, i gay che hanno spazio sui media si sono lasciati normalizzare ed oggi i nodi, secondo Morretta sono il consumismo e l’erotizzazione difensiva, la coppia e le privazioni affettive, la non tutela delle giovani generazioni e la conflittualità religiosa. Nonostante lo spazio dato dai media, Morretta è convinto che proprio i giornali, le televisione e la Rete non siano in grado di far crescere una cultura responsabile negli ambienti gay: «Che sia Rete Web o libreria non c’è da farsi illusioni, lo spiegava già a fine Ottocento Oscar Wilde ‘un tempo ti mettevano alla ruota, adesso ti mettono sulla rotativa’».

Il paradosso, insomma, è che, nonostante in tv e sui media in generale si parli liberamente degli omosessuali, i quali sono anche protagonisti del mondo dello spettacolo e dell’informazione, «la libertà concessa ai gay è fatta di un miscuglio di banalizzazione e riduzionismo: li si lascia essere quel che si è sempre pensato che fossero, a patto di farne una specie di video-gioco per il tempo libero, senza rilevanza per l’interesse generale».

Il Giornale della Previdenza dei Medici e degli Odontoiatri
Anno XVIII - n. 6 - 2013
Recensioni Libri di medici e di dentisti, a cura di Claudia Furlanetto

Il libro di Mattia Morretta, psichiatra e sessuologo, parte da una critica ai processi di omologazione presenti nella cultura gay che non permettono, secondo l’autore, lo sviluppo della soggettività omosessuale, via obbligata per un’evoluzione in senso positivo dei gay nella società. I capitoli affrontano i nodi critici della cultura omosessuale maschile: il processo di identificazione, il consumismo e l’erotizzazione difensiva, la coppia, le privazioni affettive, la mancata tutela dei giovani, la religione, i condizionamenti dell’ambiente gay e le prospettive di socializzazione. Un volume che vuole promuovere la “competenza omosessuale in grado di fare delle relazioni interpersonali opportunità irripetibili di reciproca educazione e cultura facendo parte a pieno titolo del tessuto sociale”.

 

Francesco Gnerre, Roma, 2013

Non sono la persona più adatta a dare un giudizio sul contenuto, non essendomi mai occupato di psicologia e psicoterapia, da parecchi anni non frequento il mondo del “consumo gay” e le mie poche esperienze delle nuove generazioni sono diverse da quelle dell’autore. I giovani che hanno seguito i miei corsi all’università, oppure che mi contattano perché stanno lavorando ad un tesi di laurea sulla “cultura gay” o sulla letteratura, non rispecchiano quelli descritti nel libro. Si tratta infatti di giovani che leggono, vogliono approfondire e si rivolgono a me con umiltà e voglia di sapere. Ovviamente so che la maggioranza vive l’esistente senza farsi molte domande, ma questo credo sia fisiologico. Anche negli anni Settanta, agli albori del movimento di liberazione, a voler approfondire i discorsi sull’omosessualità non erano certo le masse.

Anche le mie scarse esperienze con qualche circolo Arcigay sono diverse. Forse perché sono incline, per carattere, a vedere, come si sul dire, il bicchiere mezzo pieno, cerco di prendere le cose buone (che, a mio avviso, pure ci sono) e ho trovato un po’ ingiusta la veemenza con cui ci si scaglia contro il mondo gay nella sua totalità.

In alcuni casi, poi, credo che non siano stati registrati i cambiamenti degli ultimi anni, per esempio nell’atteggiamento delle forze dell’ordine nei confronti degli omicidi di gay (o omicidi, secondo il titolo di un libro di Andrea Pini). A me risulta che molte indagini siano state concluse e che la maggior parte degli autori (di solito marchette) siano stati condannati.

Il fatto che le riviste gay non diano voce ai problemi delle malattie sessualmente trasmissibili non mi pare del tutto vero. Su “Pride”, l’unica rivista che conosco, c’è quasi tutti i mesi una rubrica che trovo corretta, ben fatta e sempre attenta a non sottovalutare il tema delle infezioni. Certo forse si dovrebbe e potrebbe fare di più, ma mi sembrerebbe giusto prendere atto di quanto viene fatto.

Insomma, sarà perché ho avuto una formazione sociologica che mi tiene lontano dal dare giudizi di valore e dalla pretesa di voler indicare comportamenti normativi, sarà perché credo nella libertà individuale, sarà perché cerco di capire le fragilità umane, trovo che a volte si sia calcata un po’ la mano.

Potrei fare altri esempi: i modi di vivere la propria sessualità sono tanti e non mi pare tutti riconducibili alla dark rooms e ai sex shops (che comunque non voglio demonizzare, benché sia portato ad auspicare una sessualità più matura). Conosco tanti gay che non hanno mai messo piede in un bar gay (forse sono i più, se si considera l’Italia tutta e non solo le grandi città), conosco genitori gay molto consapevoli delle loro responsabilità, tanti insegnanti e studiosi gay che, con fatica, portano avanti discorsi seri. Esperienze che nel libro vengono sottovalutate o del tutto trascurate.

Sono molte le cose in compenso che ho apprezzato del testo, a cominciare dalla scrittura ricca e suggestiva. Un po’ di sano moralismo e un po’ di critica (anche di fustigazione) di modi di vivere superficiali e autodistruttivi sono forse necessari, e c’è da sperare che il volume sia letto da molti gay.