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L’Hiv e la popolazione generale
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Come eravamo: omosessuali e Aids negli anni Ottanta
La dimensione psicologica dell’AIDS, Tesi di Specializzazione in Psichiatria, 1987

L’impatto psicologico dell’Aids sui soggetti appartenenti ai gruppi a rischio non può essere sottovalutato, in quanto per essi la minaccia è assai più reale e vicina che non per la popolazione in generale.
Alcuni sviluppano un vero e proprio panico, specie se già in precedenza erano caratterizzati da tratti di personalità ossessivi o paranoidi.

Un clima di sospetto, malafede e inganno rende l’esistenza un percorso in un campo minato dove occorre prestare attenzione ad ogni minimo passo. Tragici episodi di cronaca, iniziative repressive in alcuni paesi, proposte moralizzatrici da parte di organizzazioni religiose, e via di seguito, avvalorano il timore di un ritorno ad una caccia indiscriminata alle streghe.

Molti omosessuali esprimono la convinzione che il processo di democratizzazione della società sia ormai definitivamente bloccato dall’Aids e ritengono pertanto impossibile proseguire in tentativi di svelamento e comunicazione sincera con i familiari, gli amici o i colleghi di lavoro.
La paura di essere riconosciuti come gay sembra loro ancor più giustificata a causa dell’inevitabile identificazione come soggetti “rischiosi” per gli altri.

Fra coloro che vivono in situazioni definite in genere di “doppia vita”, cioè con una facciata di normalità che maschera il reale orientamento sessuale, quelli coniugati si trovano in una posizione effettivamente delicata.

Le loro preoccupazioni concernono lo smascheramento della vita sessuale “segreta” e collaterale a quella ufficiale, la paura di contagiare o aver contagiato la moglie o la partner; talvolta la paura riguarda persino il contagio a danno degli eventuali figli.
Continuare esperienze omosessuali, come dettato dalla loro “natura”, significa mettere ogni volta a repentaglio la salute di persone ignare. Il dilemma è di difficile soluzione.

In verità, tutto un mondo di “bisessualità”, anche limitata al passato o estemporanea, emerge dall’oscurità in cui è in genere relegato o mostra, sotto i riflettori della paura, le improvvisazioni e gli arrangiamenti fittizi di un problema su cui gli interessati non avevano mai riflettuto abbastanza, affidandosi invece al caso e alla “fortuna”.

Per molti è davvero il momento in cui i nodi vengono al pettine e per giunta tutti insieme; il che può portare a vere e proprie crisi esistenziali, con risvolti persino psichiatrici.

I modelli tradizionali di ipocrisia proposti dalla società agli omo e bisessuali, non disposti ad ingaggiare una lotta strenua per il diritto alla diversità, mostrano qui tutta la violenza di cui sono intrisi e l’alto prezzo che essi impongono, sia a quei soggetti che ai partner eterosessuali, in termini di qualità della vita.

Una repressione brutale e forzata dell’attività omoerotica, se pur possibile, non permette comunque di "cancellare” il passato e inoltre non salvaguarda dalla conflittualità interiore.
Il “nemico”, infatti, è dentro l’individuo e non nei suoi atti sessuali, frequenti, sporadici o assenti che siano. Ciò configura dinamiche psicologiche a sfondo persecutorio, in base alle quali il soggetto si sente in ogni caso “a rischio” e senza vie d’uscita.

La mancanza di spazi per la discussione sincera di tali problematiche e la solitudine affettiva cui molti gay coniugati si costringono per evitare conseguenze sulla loro rispettabilità sociale, producono intensi stati di angoscia e la sensazione di non avere a disposizione strade alternative praticabili. Sperare nella comprensione dei partner o familiari non è facile per chi fino a quel momento ha fatto dell’insincerità una specie di professione.

Tuttavia, ciò che prima poteva apparire conseguenza delle difficoltà oggettive create dalla società, ora pare solo colpevole silenzio e irresponsabilità senza più scuse. Non ci si può attendere che una “condanna” per uno stile di vita che in precedenza era vissuto come unica chance offerta dal contesto ambientale.

Anche per gli omosessuali che si sono accettati e più o meno dichiarati, l’Aids ha trascinato con sé uno sconvolgimento del modo di vivere e di praticare il sesso, nonché dei valori e credenze loro propri. Con l’Aids la comunità omosessuale è colpita al “cuore”: il sesso può dare la morte!
Ha scritto lo psicologo francese Michel Mathis, “se il sesso può essere portatore di morte, che sarà la vita mutilata dell’amore?”.

Il concetto stesso di sessualità è stato rimesso in discussione per i gay, soprattutto laddove si era diffusa una mentalità acrobatica e consumistica del sesso, come in USA e nel Nord-Europa. "Sono passati i giorni in cui i gay potevano usare il sesso come una droga per alleviare la depressione, l’ansia o la mancanza di autostima”, dice Neil Deuchar.

Il sesso come piacevole sfogo, senza coinvolgimenti troppo personali e senza un prima e un dopo, il sesso come tranquillante e diversivo, come affermazione dell’identità. Tutto ciò pare appartenere al passato remoto, senza che però si profilino all’orizzonte adeguati sostituti o effettive alternative.

Il culto della promiscuità di un certo ambiente gay americano è stato da alcuni spiegato come conseguenza della natura omofobica della società, che indurrebbe il bisogno di affermarsi e valorizzarsi mediante l’attività sessuale e per il tramite della desiderabilità. In ogni caso molte erano le modalità di praticare e giustificare un’intensa attività sessuale da parte dei gay.

Si poteva individuare il sesso “sordomuto” dei gay terrorizzati dallo smascheramento, oppure il sesso come laboratorio del piacere sempre nuovo e diversificato dei gay dichiarati, o ancora il sesso come seconda attività professionale dei gay intrappolati nel ruolo e nel ghetto. L’Aids ha diffuso un senso di sconcerto e sconforto, mettendo in forse ciò che prima pareva scontato.

Ha portato alla luce pure un mondo sotterraneo di sofferenze e violenze quotidiane, lo stato di abbandono in cui versano molti gay, specie in provincia. Dalla promiscuità metropolitana si passa, infatti, con facilità all’auto-repressione o alla mancanza di opportunità sessuali più estreme. Isolamento, mancanza di occasioni di confronto e ostilità ambientale conducono perciò molti sulla strada dei fantasmi punitivi, della sospettosità ad oltranza e del fatalismo.

Affrontare i temi ad alta tensione emotiva del “sesso sicuro”, dell’uso del preservativo prima del tutto sconosciuto, delle motivazioni sottese ai gesti sessuali, non è facile specie per le generazioni dei trenta-quarantenni, cresciute in un clima di liberalizzazione sessuale e meno inclini a cambiamenti significativi.

Si tratta comunque di una ridefinizione globale del modo di vivere e di amare che può apparire a molti un prezzo troppo alto da pagare, oltre ad incrementare la già nutrita schiera di problemi correlati all’essere gay, semplicemente.

Del resto, per i gay giovani e giovanissimi, l’associazione fra sessualità e morte non rappresenta certo l’ideale al fine di sviluppare un concetto positivo di sé e della vita di relazione. Benché gli adolescenti e i giovani gay possano adattarsi meglio alla necessità del sesso sicuro non avendo alle spalle un apprendimento da disimparare, il fatto di muovere i primi passi nell’ambito dell’amore e del sesso sotto un cielo coperto di nubi tanto oscure rischia di preparare nevrosi e infelicità.

In definitiva, gravi interrogativi si pongono per la comunità gay internazionale. Specie nei paesi in cui la percentuale di gay fra i casi di Aids è molto elevata ( praticamente tutto il mondo occidentale, tranne rare eccezioni ) e nelle città ad alta concentrazione di gay, il problema di qualifica in termini di vera e propria salute mentale e in proporzioni ancor più ampie che per la sieropositività, dato il numero di soggetti implicati.

Benché non direttamente colpiti dal virus, la maggioranza dei gay sono toccati in modo significativo e urgente dall’Aids. Molti studi riportano che la paura di contrarre la malattia è di gran lunga la maggiore, se non l’unica, fonte di stress per loro. Le morti di amici e amanti si profilano indistintamente come ulteriori cause di ansie e drammi personali, anche se l’individuo non è infetto e non pratica comportamenti sessuali rischiosi.

L’incremento delle vessazioni poliziesche e altre minacce alle libertà civili, che hanno accompagnato sinistramente il diffondersi dell’Aids, specie degli USA, fanno parte dei motivi di tensione e di modificazione in senso peggiorativo della vita di tanti omosessuali.

In una ricerca condotta dall’Università della Michigan questi diversi stress, differenziabili dalla specifica paura dell’Aids, vengono indicati come fattori in grado di provocare un notevole danno per i gay in termini di salute mentale.

L’Hiv è per gli omosessuali, che rappresentano tuttora la popolazione più colpita in Occidente, una esperienza quotidiana che rende il presente quasi un’epoca di lotta per la sopravvivenza: morte, malattia, paura, perdita di persone care, stigmatizzazioni e discriminazioni.

Ciò non viene di norma valutato in tutta la sua portata dal vasto pubblico e spesso persino dalle autorità sanitarie, più preoccupate di formare “cordoni sanitari” attorno alle categorie a rischio o di difendere la morale, che non di realizzare interventi di prevenzione e assistenza mirati.

Mattia Morretta (novembre 1987)