Lettere a Sindaco e Cardinale, 1989-1991
6 Ottobre 2014
La bussola, Esse più N°8, 1991
6 Ottobre 2014

Vivere con l’AIDS, insieme
Convegno Nazionale Persone Sieropositive, Milano, 29-30 Settembre 1990

“Pareva che la paura di morire, che evidentemente pesa su ogni uomo come un macigno, fosse improvvisamente rotolata via e nell’incerta prossimità della morte fosse sbocciata un’inspiegabile libertà interiore”
(Robert Musil, Il merlo)

Relazione introduttiva seconda giornata
Il ruolo e l’integrazione delle persone sieropositive nel contesto sociale

Questo Convegno è di per sé la dimostrazione plateale della possibilità dell’autogestione. Qui si formano gli interlocutori delle Istituzioni, che verranno cercato là dove sono tenute a esserci e di cui si misurerà nei mesi futuri la reale disponibilità.

La forza straordinaria che il nostro Convegno ha già mostrato di possedere è la stessa che promana da tutte le iniziativi simili nel mondo, in cui le persone che lo stereotipo vorrebbe schiacciate e solo vittime si organizzano e testimoniano la possibilità di affrontare la propria condizione e addirittura farsi promotori di valori e proposte per il sociale.

L’Aids è attualmente ancora costellato di fantasmi. Le immagini più frequenti si riferiscono a persone trascinate alla deriva dalla marea della loro malattia, polverizzate dalla stampa, dai mass-media e da un certo atteggiamento delle autorità sanitarie e politiche.
Persone sconfitte che non possono avere più nulla a che fare col mondo, o così si vorrebbe. Assomigliano a casa vuote e abbandonate, piene solo di fantasmi.

Questo è ciò cui hanno contribuito in molti, senza neppure saperlo tante volte, ed è ciò cui si continua a contribuire attraverso un pensiero negativo, catastrofico, che impedisce di trovare una dimensione e uno spazio esistenziali.

Il problema più grave dell’Aids è tuttora quello del “saper essere” da parte degli altri, gli operatori (assistenti sociali, medici, ecc.) e le Istituzioni. In pratica, l’attitudine e l’approccio che si deve avere al riguardo.

L’Aids non è solo un’emergenza sanitaria, non è solo un fenomeno sociale, è anzitutto una dimensione esistenziale in quanto problema umano che coinvolge persone, perché l’Aids non esiste senza persone. Ci sono soltanto persone con Aids con cui è indispensabile ed inevitabile confrontarsi, al di là dell’attenzione ai vari dettagli del tema.

Tale impostazione è fondamentale, poiché chi è direttamente interessato affronta una serie di difficoltà e disagi verso i quali manca qualunque forma di pensiero positivo, accogliente, che prepari una vera “ospitalità”.

Si è detto in questa sede che occorre guardarsi dalla compassione, dalla finta benevolenza e dalle buone intenzioni dichiarate. Infatti è necessario che venga spiegato quali sono i valori che sostengono le scelte e le azioni, non basta proclamarsi “difensore” dei soggetti Hiv positivi, bisogna venire riconosciuti e bisogna dimostrarlo attraverso un pensiero personale, cioè la messa in discussione d sé.

Si incontrano, invece, e molti ne sono soddisfatti, persone sieropositive spodestate della loro identità dalla malattia, che non sono più un Io ma un Esso, personalità frantumate che non riescono a trovare un modo di vivere con se stesse e col mondo in armonia. Il futuro si chiude rapidamente come il sipario alla fine di uno spettacolo: è quello che la maggioranza pensa e che viene fatto pensare a chi è coinvolto dall’Aids.

Sicché molti vorrebbero vedere persone spaventate, intimorite, che chiedono la grazia di un farmaco, di un’attenzione istituzionale e sono ben definite in un ruolo che non dà adito ad alcun cambiamento.

Si è disposti probabilmente a concedere parecchio, purché non ci siano modificazioni significative, purché l’Aids non trascini con sé (cosa tuttavia che è già accaduta) tutta una serie di rivolgimenti a livello culturale, emozionale, sociale, e forse soprattutto spirituale, in rapporto ai valori associati alla condizione di persona con Aids.

Le persone con Hiv e Aids dei gruppi di auto-aiuto dell’ASA incarnano l’esperimento più antico in Italia, che ha maturato questo Convegno proponendo e organizzando una “casa di accoglienza” per tutte le altre, comprese quelle che non sono Hiv positive ma hanno scelto di fare la stessa strada stando accanto.

Tale esperienza ha insegnato che esistono alcuni bisogni essenziali. Anzitutto, un bisogno di identità, che venga riconosciuta e rispettata. Prima di essere corpi colpiti da un virus, malati, individui che si confrontano con la morte, c’è bisogno di essere concepiti come esseri umani che stanno vivendo nel presente e affrontano un problema specifico, con tutto ciò che ne consegue intermini di risorse e di limiti.

C’è un profondo bisogno di identità, che viene in genere negata e per la quale non si lavora, perché i diritti di un soggetto sociale non sono il diritto ontologico, cioè dell’essere, della persona che vive una certa condizione umana.

In secondo luogo, un bisogno di comprensione, perché come scriveva Pasolini “la morte non sta nel non poter comunicare, ma nel poter più essere compresi”.

Anche per questo gli interessati hanno necessità di ritrovarsi e veder rispettata tale esigenza. Molti non hanno capito, in proposito, il senso della chiusura delle altre sezioni del Convegno a chi non è sieropositivo o non intrattiene relazioni intime con sieropositivi.

Molti pretendono di farsi spazio tra le persone sieropositive, invece di far loro spazio, e di immettervi a ogni costo i loro contenuti, la loro ideologia, la politica, qualunque cosa pur di continuare a manipolare o a specchiarsi in questa realtà.

C’è inoltre bisogno dell’assenso del mondo, il che riguardo il modo con cui si viene vissuti a livello culturale e sociale, perché tutti noi abbiamo l’esigenza di sapere che il mondo è la nostra casa, in qualunque condizione viviamo. E dobbiamo essere convinti nelle nostre profondità di avere un posto in questo mondo che può essere occupato.
Ciò è ancor più importante per chi si trova privato di identità e di posto, come se non esistesse più uno spazio per la persona con Aids.

La cosa più importante è ritrovare e occupare il proprio posto nel mondo. Le poche persone sieropositive che l’hanno fatto e che possono permettersi di mostrarlo agli altri hanno testimoniato dimostrato e stanno dimostrando quali incredibili conseguenze ne derivino.

Se ciascuno di noi occupasse il proprio posto nel mondo… Se tutte le persone venute a questo Convegno lo facessero, in maniera stabile e definitiva, dando un senso alla propria esistenza in quanto sieropositive e un valore all’esperienza che stanno vivendo, tutti se ne accorgerebbero, non potrebbero ignorarlo.

Ci sono ricadute straordinarie nei rapporti interpersonali quando qualcuno definisce la propria identità e si siede nel posto per lui preparato su questa terra, per l’umanità profonda che chiunque trascina con sé nel momento in cui si riconosce e si sceglie, cioè sceglie la necessità di essere quello che è, poiché non si può essere altro che quel che si è.

Il che è doppiamente importante per chi è Hiv positivo o vive l’Aids, in quanto non è libero, è in uno stato che non ha affatto desiderato, non può desiderare e con quale deve convivere, ma che deve scegliere perché è l’unica possibilità di trasformare la necessità (malattia reale o potenziale, coabitazione con il fantasma e l’evento della morte) in una risorsa personale, uno strumento, trovando così il suo vero senso dell’essere nel mondo.

Credo ci sia bisogno di significati metafisici nell’Aids, di valori e non soltanto di terapie o di organizzazione politica; anche questo senz’altro, ma se c’è qualcosa che le persone sieropositive hanno da dire agli altri è sul piano squisitamente umano, perché stanno sperimentando qualcosa di straordinario dal punto di vista umano.

Valorizzare la condizione da parte di chi è vicino comporta anche per gli altri un patrimonio di ricchezza umana, di riscoperta di cosa significhi essere uomini oggi nell’essenzialità, cioè ove contano autenticità, onestà, rispetto reciproco, cose che altrove vengono del tutto dimenticate.

Ancora, bisogno di compagnia, semplicemente, perché come ha scritto John Donne “la solitudine è la peggiore afflizione della malattia. La solitudine è un tormento non comminato neppure all’inferno”.
Bisogno di stare insieme e rinvenire il senso della relazione umana, a cominciare dall’affetto amicale sempre sottostimato e quasi vilipeso a vantaggio di forme più istituzionali di rapporto. Eppure, l’amicizia è un fattore di estrema importanza nella vita.

Tutti coloro che hanno partecipato ai gruppi di auto-aiuto hanno imparato che l’amicizia è un motore di cambiamento e la sostanza autentica della solidarietà. L’affinità è risanatrice, siamo “medici” l’uno per l’altro, il che non toglie di ricorrere al medico per gli aspetti pertinenti.

A tale proposito, val la pena di non equivocare circa il ruolo sul terreno sanitario: non si tratta di chiedere potere, bensì di assumere ciascuno la responsabilità che spetta e compete; quindi che i medici riconoscano nei pazienti delle persone con diritti ed esigenze umane, e che i pazienti non pensino al rapporto col medico in termini di battaglia o scacchiere.

Le relazioni umane qualificano il modo di sentirsi e di essere. Forse più che sperare di guarire (aspirazione ineliminabile) occorrerebbe pensare in termini di risanamento. Risanare significa ridare o ritrovare la salute come integrità.
Essere persone in senso complessivo vuol dire accettare anche la possibilità, e per alcuni la necessità, della malattia e della morte come parte integrante della vita.

Scegliere se stessi è compito soltanto dell’amore, non c’è alternativa. Solo con una scelta intenzionale fatta con la testa e col cuore si può accettare la propria condizione e alla fine arrivare ad amare se stessi. Senza amore per se stessi non è possibile la convivenza e trasmettere agli altri il senso dell’esperienza.

Le associazioni che si occupano di Aids dovranno necessariamente confrontarsi con le persone sieropositive che ne fanno parte e chiariscano cosa intendono quando sostengono di tutelarne i diritti, poiché molti malintesi si sono già consumato.

Mi auguro che non si facciano più iniziative a nome di altri e che si stabiliscano i bisogni umani, psicologici e sociali dei sieropositivi senza prevedere una fattiva collaborazione con gli interessati.
Non perché si debba pensare in termini di un sindacato di tutela di una “corporazione”, bensì perché si tratta di un’esperienza storicamente stra-ordinaria.

Le persone con Aids in effetti trovano condensati in sé una serie di vissuti e significati al contempo individuali e collettivi, il che comporta un approccio rispettoso ed onesto, che riconosca il compito di elaborazione assunto nonostante le difficoltà oggettive.
Anche se non ci fosse la società malevola, basterebbero l’infezione e la malattia per patire un grave disagio personale.

Scegliere di rielaborare i contenuti esistenziali, emozionali, spirituali rappresenta un patrimonio cui gli altri possono attingere mediante un accompagnamento fondato sulla pariteticità. Non è in gioco infatti la parità, perché l’individuo è svantaggiato dalla patologia, ci deve perciò essere pariteticità, cioè uguale valore etico, il riconoscimento di ciò che costituisce un uomo.

Ciò significa anche non dimenticare la malattia e l’infinita tristezza dell’Aids, che crea e dissolve legami, porta desolazione nel cuore delle famiglie e dei rapporti affettivi, amorosi e amicali, che lascia molti vuoti, benché carichi di senso perché il mondo è fatto di tutti, dei vivi e di quelli che non ci sono più, persino di quanti sono deceduti secoli fa, quindi a maggior ragione di coloro che sono morti ieri, persone che continuano ad esser presenti pur in assenza.

Occorre allora far capire agli altri cosa vuol dire la dimensione umana dell’Aids, che comprende pure malattia e morte. Grazie alla consapevolezza del dolore le persone sieropositive hanno uno strumento in più.
Non è certo proponendosi solo in un ruolo attivo negando le difficoltà che si può aver qualcosa da dire, perché se c’è un messaggio per gli altri è proprio in quanto si diviene marinai nei mari agitati del proprio sé, del proprio mare di guai.

Proprio in quanto acrobati ontologici sul filo teso sull’abisso dell’incertezza e dell’angoscia ci si qualifica come persone nel senso più pieno del termine e si può avere molto da insegnare.
Vorrei dunque che tutte le persone sieropositive presenti tornassero sui temi dell’identità e di come promuoverla socialmente, perché è importante che dal Convegno emerga un segnale positivo per tutti.

Ma soprattutto voglio augurarmi che in questo ambito si stabiliscano relazioni umane particolarmente significative, poiché è essenziale riconoscersi come persone e riuscire ad amarsi, vicendevolmente.

Mattia Morretta (1990)