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Correre e assumere rischi
Un falso problema nella trasmissione delle malattie veneree

Quanto siamo ancora lontani dalla maturazione di una piena coscienza dell'omosessualità!

Se non vi fosse il senso di colpa a far tirare ogni tanto il freno a mano, intere legioni di pirati della strada del sesso, con la patente acquisita a pagamento grazie ad agenzie compiacenti, finirebbero a ciclo continuo contro la gigantesca muraglia dell’Hiv (trascinando una nutrita compagnia al seguito), visto che sono incapaci di senso di orientamento e ignorano il significato dei segnali di divieto.

Non facciamoci illusioni, non è nulla di più di un attimo di esitazione nelle circostanze più equivoche, quel minimale far mente locale una volta, due sarebbe troppo per chi è abituato a "fare" per riflesso condizionato.

Come spauracchio era assai più efficace il timore della reputazione dell’era preistorica, quando per trattenersi si ricorreva al pensiero della cara mamma e magari dei vicini di casa, non lasciandosi andare troppo nelle zone d’ombra per non perder il poco credito acquisito in società e la già scarsa autostima.
E poi allora non c’erano i discount con saldi sessuali quotidiani.

Ok, l’Hiv ha spinto tanti a farsi “controllare”, persino talora a fare della “prevenzione” un argomento di conversazione (in sala d’attesa, non durante le proiezioni hard). Il test per l’Hiv ha sì indotto/costretto le omobisex-truppen a uscire allo scoperto una tantum o periodicamente nelle strutture sanitarie, ma per lo più in centri anonimi e a senso unico, mettendo in scena i mille drammi di piccoli uomini con quei gusti davanti a medici che ci tengono a dire che non fanno differenza (per loro son tutti uguali: numeri e basta).

Una povertà di cui non si occupa nessuno o quasi, perché riguarda gli zingari del sesso, ai quali destinare al massimo campi nomadi con l’acqua potabile e la visita di prammatica dell’Ufficio d’Igiene. E allora, hai voglia di gridare “al lupo, al lupo!”, anche un’ipoteca a vita sulla salute non può fare miracoli.

Difatti l’Aids, lungi dal costituire la leva di una remunerativa autodeterminazione, finisce per fungere da scusante universale dell’immobilismo, perché c’è da preoccuparsene e mette ansia, fa balenare la possibilità della discriminazione, complica e rovina sul più bello le trame di coppia, et cetera). Lo sguardo assente è puntato sul giorno in cui l’infezione rompiscatole non ci sarà più e si potrà tornare o giungere all’età dell’incoscienza...

Verrebbe da chiedere a improbabili interlocutori: scusate, quanto tempo deve ancora passare, prima che si prenda atto delle condizioni reali in cui si svolge l’esperienza del sesso tra uomini e si inizi a “organizzarsi” come persone ragionevoli?

Si tratta in fondo di tenere conto delle malattie sessualmente trasmesse quale problematica pertinente alla moderna soggettività omosessuale (inutile controllare sul dizionario), facendone lo spunto per comprendere le opportunità di affermazione del vantato diritto alla libera espressione sessuale (ovviamente nei paesi industrializzati).

Invece, si sentono rivendicare a parole le nuove opportunità relazionali e si vede rimpiangere in concreto soprattutto la comodità del disimpegno. Perché, in fin dei conti, cosa pretende chi si lamenta dell’esistenza dell’Hiv e delle MTS? Di non ammalarsi e non morire? Di giocare d'azzardo a costo zero e a spese degli altri? Di far sesso solo a condizione di non patire danni o della garanzia di vincere facile, tipo partitelle coi ragazzini?

Cari miei, se dovessimo far fronte esclusivamente a quel che ci conviene o sappiamo, non saremmo uomini civili bensì scimmioni antropomorfi: “Se l’uomo fosse responsabile solo di ciò di cui è cosciente… L’uomo risponde della propria ignoranza”(M. Kundera , Il Simposio in Amori ridicoli).

Ci son quelli che, superata l’iniziazione ai riti pseudo-dionisiaci della mischia orgiastica, temono giunta l’ora o la chiamata alle armi sul fronte decisivo dell’Hiv. Una volta ritirato l’esito negativo del test, per un po’ annaspano disorientati, dopo di che si dividono tra chi ci riprova (e vai! che brivido tornare a beffarsi del virus) e chi rimane in quello stato d’attesa o di sospensione, non riuscendo a credere che “è passato” e non sapendo però come fare per utilizzare la pausa di riflessione (troppo oneroso lavorare a un vero stile di vita sessuale!).

Altri "non vogliono neanche saperlo” e arrivano tuttora in Ospedale in agonia, rantolanti, dopo essere andati a fumare l’ultima sigaretta nelle località dello svago omosex all’estero, come se niente fosse.
Tutta la vita l’hanno passata simulando un divertimento inesistente, riproducendo l’atteggiamento di tutto un Mondo Gay che nega ogni addebito e i conti in rosso-sangue, nonostante le frasi di circostanza sull’amico deceduto e gli accenni ai “controlli” buttati là tra i convenevoli al bar.

Qual è la causa e quale l’effetto? L’atmosfera dei luoghi d’incontro determina il comportamento o è la risultante degli atteggiamenti dei frequentatori, che vengono così amplificati e rinforzati?

Per un osservatore neutrale è facile registrare il dato di fatto della malattia manifestata o concentrata nell’area sessuale in un numero esorbitante di omosessuali. È lì che si localizza e cresce a mo’ di massa tumorale il prodotto dell’incrocio tra sostanze cancerogene sociali e rifiuti organici e psicologici non trattati (cioè, non mentalizzati), di una condizione intrisa di dolore e miseria per incuria personale e collettiva.

Se il sesso è una discarica di odio, vendetta, depressione, cieca impulsività e brutale istintualità, l’Hiv è solo la diagnosi di un epifenomeno e non è né il peggio che possa capitare né la fine del peggio.

Non c’è differenza tra vecchie e nuove generazioni, la tematica Hiv ha occupato e continua a occupare nella testa dell’omosessuale uno spazio minuscolo, perché più in generale dovere e responsabilità sono due aspetti non previsti nel contratto di identificazione, nel quale le uniche clausole note (a loro volta puramente elencate quali giustificazioni dell’eventuale inadempienza) riguardano il rapporto conflittuale con la società e il nodo accettazione/rifiuto di sé.

A distanza di decenni è penoso constatare che non è cambiato niente rispetto al secolo del buio, e la riprova più evidente viene dal disinteresse per i morbi venerei che la popolarità dell’Hiv ha se mai accresciuto (ubi maĭor minor cessat).

Non è questione di pretendere l’esecuzione scolastica di un dettato preventivo (addestramento a restar sani in modo settoriale e astratto), né di prendere un bel voto per non deludere i ministri della sanità gay (dove sono?) o i genitori politico-sociali (intenti a tutt’altro).

Errori, cadute e infezioni sono fenomeni naturali, che capitano ai vivi, ai peggiori come ai migliori, ai coscienziosi e agli incoscienti. E d’altronde, come ha scritto Jorge L. Borges, è “immorale giudicare un atto dalle conseguenze, perché quando si agisce si sa sempre se si agisce bene o male”(Per una versione del “I King”).

Va piuttosto capito che assumere il governo della propria omosessualità implica anche prender atto di una storia di omissioni, svilimento e oscurità, tutelare un precario patrimonio corporeo e psichico di soggetti deboli, evitare il più possibile inutili disagi e maltrattamenti supplementari, proteggersi da deturpazioni esistenziali prima ancora che immunologiche.

Nella strategia di auto-aiuto si deve partire dal non negare l’evidenza della pericolosità dell’ambiente gay e del suo disordine sessuale istituzionalizzato.

Di seguito occorre non delegare a sedicenti rappresentanti di categoria la riflessione sui propri bisogni; applicarsi a non fare confusione tra rapporti sessuali e gesti sessuali inconsulti, perché per dare frutto l’incontro con l’altro uomo deve farsi intimo, anche se solo sul piano erotico, e la fiducia reciproca nasce dalla conoscenza; apprendere a guardare in faccia l’amore fisico e sentimentale, in un’esistenza che sappia aspirare alla solarità.

Infatti, se vale per chiunque la constatazione che i costumi mondani veicolino funesti bacilli, è garantito che per gli omosessuali la tradizione trasgressiva è la tomba della maturazione umana previa invasione microbiologica.

Inutile tergiversare: quanto più “liberi” si vuole essere, tanto più è necessario imparare a farsi carico di sé. La salute sessuale, in verità, è di per sé un lusso, perché presuppone un individuo dotato non solo di autocoscienza ma anche di risorse sufficienti per dare a tale sfera uno spazio autonomo.

Per correre rischi non servono abilità e intelligenza, per assumere rischi, al contrario, occorrono forza d’animo e ragione perché si tratta di operare scelte, sapendo che se ne risponde comunque sia e vadano le cose. Non a caso, è la prudenza la parte migliore del coraggio (, Shakespeare, Henry IV, Parte 1, V, 4).

La responsabilità nella sessualità è inscindibile dal prender sul serio la vita fino in fondo e nei minimi dettagli. Ecco perché si può affermare che gli uomini diano il meglio di sé proprio quando agiscono da mortali, assaporando “quella libertà che vivono gli esseri che sanno morire” (K. Blixen, Il poeta), pur non volendo affatto morire, cioè non lusingando e non sfidando la morte.
Prosit o santé, uomini veri.

Mattia Morretta (aprile 2008)