Convegno Nazionale, 1990
6 Ottobre 2014
Convegno Auto-Aiuto, 1991
6 Ottobre 2014

La bussola
Auto-aiuto e AIDS: una fatalità

ESSE più, n. 8 giugno 1991

Quando si fa parte della “specie” dei sieropositivi o si appartiene a una minoranza connotata in negativo (traduzione dell’eufemismo “gruppo a rischio”) si ha anzitutto il problema di ridefinire la propria identità , sottraendosi all’invadenza della normativa e rifiutando gli stereotipi e le stigmatizzazioni, soprattutto la prescrizione del vittimismo.

Trovare una modalità alternativa di definirsi diviene una questione di sopravvivenza, morale se non fisica. Subire l’infezione e le interpretazioni in chiave moralistica, sociologica, scientifica equivale a vedersi al contempo spiegati e archiviati in un batter d’occhio.

Numeri nella vita, buoni per i calcoli di probabilità dell’arrogante epidemiologia o per i protocolli di ricerca e studi sperimentali; numeri dopo la morte, adatti per le strumentali e altisonanti statistiche ufficiali.

Auto-aiutarsi significa sostanzialmente non rinunciare a vivere in prima persona e in modo autentico, non abdicare a se stessi.
Laddove non risulti preponderante l’aspetto della devianza e della marginalità sociale (tossicodipendenza attiva, varie forme di disagio familiare e socio-economico, ecc.), riesce ad emergere la natura squisitamente esistenziale della condizione di persona con Hiv.
Vengono a galla, cioè, i contenuti profondamente umani, elementari e universali, del confronto con l’incertezza, la malattia e la mortalità, il senso della vita, il posto e il significato della sofferenza.

La compromissione della salute e la morte minacciata colpiscono l’individuo nella sua aspirazione alla libertà in quanto lo schiacciano contro il muro della necessità materiale. La consapevolezza di sé e l’esigenza di una dimensione spirituale ne risultano sollecitate, insieme ad angosce, paure e tentativi di fuga.
Si pone il problema dell’accettazione e della scelta, ovvero del rifiuto e della negazione, del proprio stato e delle sue implicazioni.

L’auto-aiuto è una delle risposte, una strategia di convivenza responsabile . Ciò vuol dire abilitarsi a capire, prender coscienza e assumere un ruolo attivo, non disperdendo il bagaglio di capacità e risorse preesistenti e ammettendo la possibilità di acquisirne di nuove. Vuol dire altresì riconoscere la specificità della condizione, non solo in termini di infezione trasmissibile e di patologie invalidanti, ma anche in termini di diversità sociale e culturale connessa alle aspettative e ai fantasmi della collettività (la persona con Hiv come alieno, luogo dell’Altro).

Ne discende la presa d’atto del bisogno di ricevere aiuto e la possibilità di darne; l’esigenza di andare incontro ai compagni di viaggio dispersi sulla terra. Procurarsi sostegno e strumenti da scambiare con gli altri rappresenta perciò un indispensabile opzione per la vita e la cura di sé.
In tal senso l’auto-aiuto è una fatalità nell’Aids, cioè qualcosa di inevitabile.

Tutte le persone con Hiv indipendentemente dalla loro volontà e dal contesto di vita, condividono un insieme piuttosto preciso di problematiche e vissuti. Se tutti sperimentano senza possibilità di delega i disagi e i limiti, le risorse restano spesso individuali, confinate nel ristretto spazio privato del singolo, oppure risparmiate secondo una visione economica improntata all’avarizia che è alla lunga controproducente.

Al contrario le ricchezze andrebbero messe a disposizione di altri, prima di tutti quelli che si trovano nelle medesime condizioni, per farne un patrimonio collettivo. In effetti, ciò che fa crescere umanamente dovrebbe essere trasmesso allo scopo di creare una catena evolutiva.
La civiltà può solo guadagnare dal consentire alle persone con Hiv di riappropriarsi dell’anima e di conquistare la piena dignità dell’essere umano.

Mattia Morretta