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La sessuologia al servizio dell'uomo

Corpo, rammenta, e non soltanto come
amato fosti, i letti ove giacesti.
Ma quelle brame che riscintillavano
chiare, per te, negli occhi,
nella voce tremavano – e furono
vane per sorte…
(Costantino Kavafis, 1918)

La sessuologia è ancora piuttosto giovane come “scienza” e in qualche modo già segnata da una serie di incognite, sia perché i suoi progressi principali risalgono agli ultimi quarant’anni sia perché le sue prospettive si definiscono e modificano di continuo, non senza contraddizioni.

In realtà, quel che è avvenuto di recente è la sistemazione del sapere relativo alla sessualità, che si è accompagnato a un grande interesse a livello popolare per le ricerche scientifiche sul sesso e le relative promesse di godimento.

Lo studio dei comportamenti sessuali nelle varie epoche storiche e nei più differenti contesti, nonché l’analisi degli atteggiamenti culturali riguardo al sesso nelle diverse società, costituiscono un campo d’indagine vastissimo e molto stimolante che ci aiuta a comprendere anche le attuali modalità di approccio ed interpretazione della sfera sessuale.

Vi sono solchi profondi che separano determinate concezioni della sessualità da un secolo all’altro, come fra una latitudine e l’altra del globo terrestre nel medesimo periodo.
Tuttavia, è pure possibile rintracciare delle continuità o dei significati per alcuni aspetti universali.

Da un lato, cioè, ci rendiamo conto che le cose non sono sempre andate nello stesso modo o come noi crediamo (scambiando ciò che è abituale con ciò che è naturale, e viceversa), dall’altro lato intravediamo delle variabili fondamentali sotto forma di fili rossi che attraversano la storia dell’umanità.

La sessualità non è una funzione a sé stante e coinvolge, anzi, ogni aspetto della vita privata e sociale; perciò la sessuologia comprende e si giova dei contributi di molte branche scientifiche.

Ciò rischia di renderla un ambito soggetto a confusioni e malintesi a causa dell’indeterminatezza del suo oggetto e dei suoi limiti. Pertanto, è utile definire a grandi linee il suo terreno di applicazione ed intervento.

In primo luogo, si può parlare di una sessuologia generale “normale” che si occupa di argomenti di competenza della medicina, della biologia e della psicologia. L’anatomia e la fisiologia si interessano della morfologia, dei caratteri e del funzionamento degli organi sessuali, mentre l’endocrinologia studia l’influenza degli ormoni sulla vita sessuale e la biochimica indaga i rapporti tra sesso e sostanze/molecole chimiche.

La psicologia, analogamente, si riferisce ai sentimenti, alle emozioni e agli affetti che accompagnano le esperienze sessuali dall’infanzia alla vecchiaia, abbracciando fenomeni non sempre chiaramente “sessuali” e un tempo non considerati legati al sesso. Si tratta non solo di innamoramento, scelta del partner e fondamenti dell’attrazione erotica, ma anche di problematiche inconsce e di sviluppo della personalità in senso lato.

In secondo luogo, esiste un settore della sessuologia che si occupa in specifico della “patologia”, quindi delle disfunzioni dal punto di vista sia biologico che comportamentale. Rientrano nella patologia i problemi endocrinologici, neurologici e malformativi, e non ultimo le malattie a trasmissione sessuale.

Un’area a parte è rappresentata da quelle che in passato erano denominate “perversioni” e oggi sono più blandamente definite “deviazioni”. Uno dei concetti, infatti, più discussi e trasformati è proprio quello di “normalità”.

A parte la rottura del legame tra sessualità e riproduzione in precedenza dato per scontato e indissolubile, nella nostra epoca è diventato via via meno oggettivo e più soggettivo il criterio della normalità nel comportamento sessuale.

Già le ricerche di Kinsey negli anni Quaranta del XX secolo avevano documentato quanto fosse varia l’attività sessuale umana e come gli individui ritenuti normali agissero spesso in aperta contraddizione coi principi morali ufficialmente approvati, in buona o mala fede.

In seguito si è giunti ad affermare che è normale nel sesso tutto ciò che è condiviso, quindi le azioni e i sentimenti accettati consapevolmente dai due protagonisti dell’esperienza che sappiano trarne soddisfazione senza arrecarsi danni (fisici e psichici).

In quest’ottica la sessuologia ha dato un forte stimolo alla riconsiderazione dei valori culturali vigenti nella nostra società, con esiti comunque non proprio felici. L’ambiguità del ruolo del sessuologo è, in effetti, ben espressa dal titolo di “stregone” della civiltà contemporanea da qualcuno assegnatogli.
Inoltre, la liberalità in campo sessuale appare a volte una specie di diversivo, usato per distogliere l’attenzione delle persone da altri problemi più controversi e sostanziali.

Un altro pericolo è quello dell’indottrinamento, la tentazione di predicare un nuovo tipo di fede contrapposta ad altre esplicite religioni. Il fine della sessuologia non è certo quello di salvare gli uomini o mostrar loro la retta via, e neppure renderli felici con qualche ricetta di buon sesso.

Tali strumentalizzazioni non dovrebbero inficiare il suo significato di scienza umana, perché nonostante tutte le “rivoluzioni”, esiste ancora un profondo analfabetismo sessuale e permangono in ottima salute pregiudizi millenari e superstizioni capaci di costringere le menti (più ancora dei corpi) in ferree camicie di forza.

Lungi dal separare la sessualità dalle altre dimensioni dell’uomo, occorre allora mirare a recuperarla all’interezza dell’esistenza e di fatto “umanizzarla”.

Sessualità e corpo

Ogni discorso sul corpo finisce prima o poi per coinvolgere la sessualità, benché in modi e con scopi ben diversi tra loro. Negli scorsi decenni si è cercato di esaltare le potenzialità sessuali del corpo ritenuto prigioniero di un’ideologia negatrice del piacere.

Non era solo la religione a rendere difficoltosa, se non impossibile, la convivenza del corporeo col sessuale e con lo spirituale. Anche la medicina si era occupata quasi solo in negativo della sfera sessuale, concentrandosi sulla patologia e l’anomalia; basti pensare al corpo perverso e malato di cui trattavano psichiatria e medicina legale agli inizi del XX secolo.
Era stata poi la volta della dermofisilopatica e dell’igiene sessuale procreativa, con l’attenzione posta sulle patologie fisiche provocate dall’attività sessuale o  sulle conseguenze per la generazione di figli.

Soltanto nei primi anni Settanta si è cominciato a delineare un concetto di salute sessuale incentrato più sulla normalità che sulla morbosità e fondato più sulla fisiologia che sull’anatomia. In questo modello il corpo è stato preso in considerazione quale base biologica inalienabile della risposta sessuale. Si è creata comunque una divaricazione fra l’approccio medico e quello psicoanalitico al corpo.

Nel primo caso si è puntato a dare “scientificità” allo studio del sesso grazie alla valutazione dei parametri fisiologici dell’organismo durante l’atto o i fenomeni sessuali. Ne sono derivate spesso descrizioni asettiche e meccaniche, capaci di scatenare ansie e timori per il disperato tentativo di adeguarsi agli schemi e ai diagrammi di funzionamento presenti nei vari manuali del sesso.

Dal canto suo, la psicoanalisi ha considerato il corpo in maniera molto singolare, erotizzando ogni funzione organica e al contempo ridimensionando la portata della concreta corporeità. Freud ha contribuito ad individuare aspetti fondamentali dell’erotismo umano che hanno influenzato tutto il pensiero successivo, a partire dall’introduzione dell’idea di sessualità infantile (quindi di sessualità non riproduttiva).

Tutte le correnti di pensiero psicoterapico hanno sottolineato il peso della conflittualità interna all’individuo al di là delle influenze sociali sul comportamento e hanno posto l’accento sulla qualità delle esperienze, valorizzando l’immaginario e la fantasia quali fonti inesauribili dell’eros.

Tuttavia, la psicoanalisi si è spesso “dimenticata” del corpo reale, sia dal punto di vista della percezione che dal punto di vista del suo impiego, focalizzandosi sulla rappresentazione a livello psicologico e sulla verbalizzazione degli affetti.

Corpo vissuto e sensibile

Nella sessuologia si sono sviluppate due proposte estreme, una tendente all’accentuazione dell’esperienza erotica e una tesa ad elaborare il substrato psicologico e culturale della sessualità

A un orientamento tecnico e igienico ha fatto, cioè, da contraltare un’impostazione più teoretica o intellettuale. La sessualità, però, è sempre un gioco dialettico tra esperienza e significato simbolico. Non c’è solo un corpo che agisce e neppure solo una mente che pensa o immagina il corpo. In ogni circostanza esiste un tempo di sperimentazione e uno di riflessione.

Privilegiare un aspetto o l’altro può essere una questione di strategia, ma alla fine entrambi sono necessari per un autentico equilibrio psicofisico. Si rischia altrimenti di fare senza capire né sapere perché oppure di comprendere senza riuscire a vivere in pratica.

Molte scuole di approccio corporeo, sviluppatesi e moltiplicatesi a ritmo vertiginoso negli scorsi anni, hanno sovente finito con l’esagerare l’importanza dell’esercizio o dell’addestramento per il conseguimento di un “buon” rapporto col corpo proprio e altrui. L’impressione è stata di avere a che fare con una specie di supermercato della fisicità, offerta in tutte le salse e confezioni, quasi che il benessere integrale possa venire acquistato grazie a questa o quella “tecnica” più o meno costosa.

Analogamente, la sessualità è stata compressa nella logica del mercato, della domanda e dell’offerta, a colpi di efficienza  e di orgasmi.

L’interesse per il corpo è comunque sia servito a ricercare un nuovo accordo fra sessualità e corporeità, riconoscendo nella vita dei sensi le premesse indispensabili per la soddisfazione sessuale. Il sesso, cioè, trae profitto dalla rivalutazione del corpo nel suo insieme e dal recupero delle componenti non propriamente sessuali della fisicità. La funzione genitale, infatti, è carica di messaggi negativi che fanno dell’attività sessuale più un dovere che un piacere.

Le scoperte scientifiche in proposito sono diventate in breve tempo strutture portanti di un modello consumistico del sesso, che crea nuovi obblighi e un’esigenza di “riuscita” destinati ad alimentare frustrazioni gravi. Lo sforzo di adeguarsi agli standard di “normalità” sessuale blocca il corpo e trasforma il desiderio in un lavoro. Alla fine ciò che si “consuma”, cioè si perde, è il desiderio stesso, mentre aumenta l’insoddisfazione nonostante la prestazione e l’apparente successo sessuale.

Mettere da parte il corpo genitale può aiutare a ridimensionare l’ansia di dare prestazioni favorendo la scoperta di aree corporee in grado di dare sensazioni piacevoli e suscettibili di piaceri “inutili”. De-sessualizzare il piacere può pertanto rivelarsi un modo di arricchire le possibilità di gratificazione, portando alla luce territori inesplorati o trascurati di sé per un eccesso di attenzione accordata ai genitali.

Valorizzare globalmente il corpo permette altresì di utilizzare il linguaggio non verbale ridotto al silenzio dalla tirannia di una comunicazione verbale sempre più povera e a senso unico. Lo scambio interpersonale ne risulta migliorato “sensibilmente” quando si fa spazio alla gestualità e si usano tutti i canali sensoriali di ricezione e invio di messaggi sulla realtà.

Corpo integrale

Quando si approfondisce la conoscenza e l’auto-consapevolezza del corpo, ci si rende progressivamente conto che i rapporti tra sesso e corpo sono più complessi di quanto crediamo.

Il corpo che viviamo e usiamo sessualmente è solo una parte, a volte estremamente ridotta, del corpo fisico ed emotivo. Alcune zone e funzioni corporee assumono un significato dominante nella cultura odierna in base alla valorizzazione della moda o al rinforzo della repressione (esterna o interna). Per questo essere nudi o muovere il bacino vengono immediatamente collegati al sesso negando altri possibili significati ed intenzioni, nonché compromettendo la libertà stessa di espressione.

In tal caso la sessualità diventa addirittura una sovrastruttura difensiva contro una visione più completa del corpo e della vita, riducendo anziché incrementando le opportunità di soddisfazione e realizzazione.

Sessualizzando l’aspetto fisico e il comportamento si arriva a schiacciare e negare paradossalmente il corpo, e la sessualità ne risulta infine impoverita e ridimensionata poiché costretta in un vicolo cieco.

La “riuscita” sessuale è spesso usata per scaricare l’angoscia, per rassicurarsi sbrigativamente circa il valore personale, per specchiare un narcisismo ferito. Nel sesso possono venir condensate allora  tutte le energie psicologiche e fisiche, facendone l’unica o la principale modalità di affermazione o persino una ragione di vita.

Una condotta sessuale in apparenza disinvolta e “libera” può mascherare in verità una schiavitù interiore, non sempre inconsapevole. Alla stregua di una droga, quel che viene avvertito come “bisogno sessuale” assorbe le energie, diventa l’obiettivo da perseguire a tutti i costi, la sola fonte di gratificazione benché sempre insufficiente.

Questo corpo fortemente sessualizzato non riesce a provare altre emozioni e sensazioni, si trova costretto a richiedere all’attività erotica genitale soddisfazioni di altra natura e risposte impossibili da ottenere in quanto correlate a domande di origine non sessuale.  

Accade anche il contrario, cioè che il corpo divenga uno schermo di protezione contro la sessualità.

È il corpo dell’efficienza fisica, delle funzioni muscolari, dell’esecuzione di esercizi, mansioni e compiti, incapace di incarnarsi ed erotizzarsi. Può riguardare individui dal contatto facile, che sembrano alieni da problemi nel muoversi, magari abili ginnasti e sportivi.

La padronanza esibita della fisicità può infatti nascondere il tentativo di disconoscere la piena maturazione sessuale corporea; non a caso vi sono implicati la non accettazione dell’identità sessuale (maschile o femminile) e il timore irrazionale dell’erotismo.

Un appoggio positivo in queste situazioni può giungere dall’utilizzo dell’immaginazione che, in maniera graduale, consente di riconnettere la sessualità alla corporeità nel fluire della vita fisica ed emozionale.

Corpo mediatore e di passaggio

Il corpo è il luogo di incrocio e scambio di molteplici funzioni biologiche e psichiche. Il suo ruolo di mediatore può essere tuttavia impedito o compromesso da blocchi emozionali e concezioni unilaterali.

Ricorrere alle risorse del linguaggio fisico può far superare conflittualità interpersonali che il dialogo non fa che aggravare, perché solo il non-verbale è ancora in grado di suscitare emozioni autentiche, elementari, ingenue e per così dire umili, favorendo la comprensione emotiva.
La postura, i gesti, le mani esprimono qualcosa che non si può dire con le parole o che rischia di venir travisato una volta tradotto in parole.

Molte volte non ci si capisce perché si usano vettori differenti per dire la medesima cosa, oppure non ci si incontra perché uno privilegia un certo piano sottovalutato o trascurato dall’altro. Un lavoro sul corpo e su canali di comunicazione sensoriale soggettivi può restituire la capacità di capirsi e di vivere con pienezza il rapporto con se stessi e con gli altri.

Il corpo è pure la sede privilegiata della “regressione”. La schiavitù della performance, del mostrarsi belli-giovanili-efficienti, all’altezza delle occasioni sessuali e sociali, svuota alla lunga le riserve di energia della persona. Ne deriva una crisi di identità, perché non si sa più se dietro al personaggio esista ancora un individualità originaria, e se permangano desideri e sentimenti veri.

Riavvicinarsi al corpo per ascoltarne le voci (di protesta, desiderio, insofferenza) e consentirsi di “regredire” (ripiegandosi riflessivamente su sé stessi) è talora la sola strada percorribile per recuperare vitalità e ritrovarsi come esseri umani. In tal modo anche la sessualità subisce cambiamenti, perché acquista un significato personale in contrapposizione a quello sociale o consueto.

Troppo spesso, purtroppo, nella vita sessuale seguiamo, seppur inconsapevolmente, ritmi e modelli non nostri, presi a prestito dalla cultura o sottocultura imperante. Al corpo imponiamo l’adeguamento a concezioni estetiche e sessuali cui aderiamo quasi fossero ideologie politiche o fedi religiose, senza interrogarlo e interrogarci su quanto ci si addicano e facciano al caso nostro.

Soltanto un approfondimento e un’esplorazione della sensualità in termini squisitamente privati rendono possibile una espressione sessuale gratificante e di qualità, così come un’accettazione della dimensione evolutiva dell’esistenza materiale.

Di solito crediamo di non riuscire a tollerare determinate tensioni o sensazioni particolari, e cerchiamo di reprimere del tutto o soddisfare immediatamente impulsi e spinte interne, oppure reagiamo subito a sollecitazioni esterne. Se invece di evitarli, riusciamo ad “attraversare” questi stati, è probabile scoprire potenzialità insospettate, capacità di resistenza impreviste e un piacevole “potere” di scelta.
Il corpo e la sessualità diventano in tal modo progressivamente più “nostri” perché sintonizzati sulla nostra autentica e profonda personalità.

Procedendo in parallelo a livello corporeo ed emotivo, integrando esperienza fisica, vissuti e coscienza, sarà  più facile adattarsi al declino e all’invecchiamento, alle modificazioni inevitabili della sfera e dell’identificazione sessuale, e forse adattarsi all’ultimo più impegnativo passaggio, la trasformazione finale dell’identità.

Mattia Morretta (1987-1988)