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Lunga vita all'Hiv!

Quante volte si sente asserire che il tal sieropositivo ha la carica virale “talmente bassa” da risultare non rilevabile?! Di solito sono i diretti interessati a diffondere la bufala, con l’intento di accreditarsi come “non contagiosi”; lo dichiarano spavaldamente ricorrendo a termini tecnici, in genere per giustificare contatti sessuali non protetti, quando bisogna pur trovare una scusa per il silenzio prima del sesso e il comportamento durante.

Una obiezione da (u)omo della strada verrebbe spontanea: e allora perché si parla di prevenzione e profilattici? Di seguito ci sarebbe da chiedere: e perché ammetterne l’uso o l’utilità per la penetrazione? Dovranno dunque usarlo soltanto quelli sieronegativi pro tempore?

Se è tutto risolto dalle terapie, se la viremia “a zero” è la carta d’imbarco o il lasciapassare che rende l’infezione non più trasmissibile, allora perché non dare il via ufficialmente al sesso nature di una volta?! Sarcasmo? C’è chi lo fa con spudoratezza e talora addirittura ne rivendica il diritto. Ignoranza beata o culto della malvagità?

Altro quesito riguarda i "loro" medici. Non saranno costoro a suggerire le frasi di circostanza attenuante? I consigli su come presentarsi col profilo sanitario migliore in società non mancano, però non c’è chi suggerisca all’Hiv positivo di tener conto della ferita nell’area sessuale, benché il male l’abbia raggiunto proprio lì e da lì abbia preso possesso dell’organismo.

Dato che l’infezione da Hiv oggi è assimilata al diabete, sembra plausibile parametrarla alla stregua dei valori degli zuccheri nel sangue. Che bella trovata! E tutti a rassicurare: è cronica, si cura, del doman v’è certezza, l'infettività una remora o un pregiudizio, il vaccino verrà anche per chi ha il virus.

La gran parte dei messaggi preconfezionati sulla sieropositività finisce purtroppo per rivelarsi un inno alla patologia: “Lunga vita all’Hiv e ai suoi tutori sanitari e sociali!”, sembrano proclamare le spudorate pubblicità delle case farmaceutiche sulle riviste gay. D’altronde, si tratta a tutti gli effetti dei proprietari del corpo degli Hiv positivi (all’anima non credono perché non genera profitti).

Con la scusa di difendere l’aspettativa di vita dei pazienti attuali, i laboratori di ricerca e i produttori di pillole da assumere in cocktailmirano a porsi come diretti interlocutori dei futuri neo-infetti, con tanto di benemerenze e onorificenze, investono in propaganda, sostengono iniziative di ipotetica prevenzione, la loro causa pare la medesima dei maschi gay o MSM.

Intanto, chi è Hiv positivo ha tutto il tempo a disposizione per prendere tante altre malattie veneree e varianti aggressive dell’Hiv, grazie ai farmaci e ai calorosi incoraggiamenti a “vivere bene” e “fare l'amore" (cioè il sesso nobilitato dalle ONG), nonché alle attestazioni di “non contagiosità”.
Infatti, è oramai una litania quella che riporta gli aumenti dei casi di sifilide, uretrite, et cetera tra i sieropositivi noti.

D’altronde, fare sesso senza precauzioni (del tutto/un po’ / a metà), dà la sensazione che la sieropositività non esista davvero e non vi siano conseguenze concrete del rischio. Spesso son proprio i sieropositivi più ligi ai trattamenti farmacologici a operare clamorose negazioni dell'infettività, perché si sentono invulnerabili e onnipotenti grazie all’efficacia delle cure, al benessere apparente (visibile).

Sono in qualche modo “drogati” e nel loro caso si potrebbe a ragione parlare di farmacofilia, in quanto si abbandonano all’assunzione di sostanze estranee non diversamente dai tossicodipendenti.

I gas propulsivi dei benefattori, donatori di pillole e avvocati delle cause perse per strada, danno la spinta decisiva e forniscono il passaporto con le paroline magiche. Tuttavia, appena si gratta la patina dorata si nota il vile metallo del disprezzo di sé, si scopre la cieca vendicatività verso tutto e tutti di chi è fondamentalmente disperato e in trappola (quella del ruolo più ancora di quella del virus), si constata l’orrore per se stessi dei mistificatori obbligati, si intravede quel sordo e muto dolore che non si può mostrare a nessuno, compresi i congiunti tanto solidali e disinteressati. La pacca sulla spalla delle rassicurazioni vuol dire in effetti: arrangiati!

E i partner, occasionali o duraturi, non provano né rabbia né rancore, non li “demonizzano”, anzi, restano accanto, magari “da amici”, dopo aver fatto sesso free lance nella fase in cui non erano a conoscenza della diagnosi di Hiv. C’è chi va avanti allo stesso modo, cioè alla cieca: perché e come mettere “una pezza” una volta rotto il vestito? Tanto vale procedere fino allo strappo finale.

Quanti sono gli struzzi che cominciano col rinunciare a prosaiche cautele per dare “fiducia” (a volte quando più c’è il sospetto della presenza del male)? Le loro barriere comunque sono finte e forzate, emotive e non frutto di scelta (pertanto in-volontarie).

Poi si va a “controllare”, specie quando si intende passare a un livello superiore, a una “storia” che ratifichi l’unione di fatto dei destini. In alto mare, col certificato e il salvagente del nuovo status, non resta che aggrapparsi tra naufraghi facendo buon viso a cattiva sorte e inaugurando la stagione degli “amori speciali”.

È così: la trascuratezza depressiva è il segreto di Pulcinella di troppe sieroconversioni odierne all’Hiv, di chi non ha saputo o voluto fare sul serio con i limiti e le sofferenze reali. Niente paura, comunque sia, perché la “scienza” pensa a tutto e quando adotta una malattia va fino in fondo.

L’ultima frontiera al maternagesanitario è stata varcata dalla chirurgia estetica per correggere i danni delle terapie antiretrovirali. Si sa, gli effetti collaterali sono inevitabili e per poter “vivere” continuando a fare sesso e imbastire relazioni bisognava finora accettare di venir sfigurati o di mutare “forma”, con depositi di grasso in modo abnorme in strane zone (c’è chi si è visto crescere il pene: quando si dice piove sul bagnato!).

Basta volti scavati, riconoscibili anche in penombra, le gibbosità sono imbarazzanti, il rimedio c’è ed è a spese dello Stato: coloro che hanno procurato i danni provvedono a ripararli (chi rompe i cocci, qui non paga). Tutto bene?! Tutti d’accordo?!

A guardar dritto in faccia parecchi Hiv positivi si ha l’impressione di trovarsi davanti a marionette rette dai fili dei loro curanti e curatori testamentari. Già vulnerabili, si infragiliscono ulteriormente diventando dipendenti dalla medicina, sotto controllo a vita, pazienti cronici in senso stretto, in costante attesa di terapie ed esami, in perpetua cura per qualche cosa (versione “alternativa” inclusa). Giusto il tempo di andare in sauna o di cercar l’anima gemella con un annuncio.

"Belli da morire", si potrebbe concludere, parafrasando la reclame in voga nei tempi andati dei prodotti cosmetici Avon. Di bellezza, però, in questi centri estetici di confine ce n’è ben poca. E il maquillage non si addice al lutto.

Mattia Morretta (agosto 2007)