Parole chiave nell’educazione degli adolescenti
24 Gennaio 2015
Approccio culturale alla prevenzione
25 Gennaio 2015

Lezioni di vita
La prevenzione nelle Scuole Medie Superiori

L'ottica di integrazione sanitaria e pedagogica

La realizzazione di iniziative di educazione alla salute si giova della creazione di uno spazio di confronto e riflessione comune tra le figure di riferimento nella scuola.

L'efficacia degli interventi curati da "esperti" o tecnici esterni alla scuola è strettamente legata alla capacità di dare continuità alla trattazione degli argomenti nel normale corso della vita scolastica, collegando i temi sociali e sanitari con le materie della didattica.
Si tratta di "integrare" l'ottica preventiva nella relazione pedagogica mediante l'opera di mediazione culturale.

A tale scopo nel periodo compreso tra settembre 1996 e maggio 1997 sono stati effettuati 9 incontri di tre ore ciascuno cui hanno preso parte complessivamente 20 docenti di 6 Istituti del territorio di competenza della USSL 36, affiancati dai medici scolastici dei medesimi istituti. Il gruppo di discussione è stato guidato dallo psichiatra del NOPA mediante relazioni introduttive sui seguenti nodi tematici:
1) Il mito della prevenzione: risorse e limiti degli interventi di prevenzione;
2) Scopi e obiettivi dell'educazione alla salute;
3) Concezioni moderne di salute/malattia e vita/morte;
4) Rappresentazioni sociali e personali di sessualità e corporeità, piacere e dolore;
5) La valenza educativa nella relazione adulto-adolescente;
6) Modelli di realizzazione dell'individuo nella società del benessere.

Una parte del lavoro di "riflessione guidata" si è focalizzata sul senso e sulle finalità delle iniziative di prevenzione alla luce della continuità della relazione pedagogica e delle limitazioni della didattica nella scuola. Si è cercato così di sottolineare l'importanza di una conoscenza non burocratica e di un confronto effettivo tra la figura sanitaria e i docenti più motivati per un'effettiva collaborazione a lungo termine.

Inoltre, si è tenuto conto del disagio sperimentato dai docenti nel rapporto con gli allievi a causa dell'inevitabile coinvolgimento sul piano affettivo, che porta a comportamenti talora ambigui o contraddittori.
Risulta, in effetti, difficile definire i limiti e gli spazi della dimensione educativa e organizzare una strategia operativa coerente con la funzione svolta.

Un'altra parte del lavoro di gruppo è stata mirata all'approfondimento delle caratteristiche del contesto generale, nel tentativo di delineare le trame e gli orientamenti della società attuale dal punto di vista antropologico, allo scopo di rendere più comprensibili i messaggi, le condotte e le rappresentazioni prevalenti nel mondo giovanile, nonché presagire i probabili sviluppi futuri.

Tra gli altri, sono stati selezionati alcuni argomenti meritevoli di ulteriore elaborazione a causa della loro rilevanza nel rapporto educativo:

a) Funzione e finalizzazione

Gli insegnanti, oltre a trasmettere un patrimonio di conoscenze specifiche, si offrono agli allievi come figure-schermo soggette ad operazioni proiettive inconsce mentre interpretano la varietà dei tipi umani adulti nel mondo extra-domestico. Accanto a funzioni concrete e all'effettivo rapporto personale, essi svolgono un'importante funzione simbolica in quanto "rappresentanti" della società quale civiltà (scelta delle regole e della tensione verso la forma migliore di vita collettiva).
Gli educatori fungono da mediatori dell'accesso alla realtà per il tramite della cultura e costituiscono un esempio di realizzazione umana e professionale.

L'assunzione di responsabilità travalica la correttezza con cui viene assolto il compito didattico, poiché le conseguenze più significative del loro operato sono correlate al modo in cui occupano il "posto" nel sistema di interdipendenza istituzionale.
L'adulto-docente è attore di un intervento finalizzato, che non solo non trattiene bensì sospinge in avanti il giovane, indicando con il proprio gesto l'orizzonte ed il futuro.

Mancando di sufficiente definizione e identità culturale nell'attualità, la scuola risulta invasa e colonizzata da modelli di realizzazione e di apprendimento approssimativi e superficiali, tipici di una società a misura di criteri di mercato. La disgregazione e l'isolamento, tra le altre conseguenze, producono aumento della violenza e della “indifferenza relazionale" anche nell'ambito scolastico.

Il rapporto docente-allievo risulta sovente ridotto a caricatura didattica e a simulazione consensuale, divenendo secondario se non addirittura marginale rispetto ai fattori d'influenza effettivamente operanti nella vita dei ragazzi.

b) Appartenenza e relazione

Il bisogno di appartenere sottende molte condotte umane e forme più o meno organizzate di vita comune. Protezione, rassicurazione, contenimento sono alcuni dei vantaggi offerti dal vincolo emotivo, mentre gregarietà, fissazione e dis-identità costituiscono alcuni dei principali pericoli della degenerazione fusionale (a partire dalla coppia fino al fenomeno della massa).

La comunità in termini sociali e la collaborazione in termini individuali costituiscono una elaborazione complessa e razionale dell'aggregazione su base emozionale, necessitando, infatti, di soggetti capaci di scegliere e finalizzare la con-divisione.

Nell'aggrappamento l'individuo avverte l'esigenza di un "legame" in cui avere la possibilità di esercitare e subire una pressione correlata a emozioni sentimentali, soprattutto per scongiurare vissuti di angoscia, senso di solitudine e timore di abbandono-rifiuto.

Nell'attaccamento il vincolo è finalizzato alla soddisfazione di bisogni primari oggettivi; quando ha successo, l'affettività supera la dimensione periferica delle emozioni-sensazioni e il livello elementare del bisogno, per garantire il massimo grado di individualità e di parità compatibile con la reciprocità.

L'aggrappamento è espressione di uno stato di "minorità" sul piano emozionale e si accompagna al fallimento nei rapporti interpersonali, esso può rappresentare un livello primitivo mai superato di identificazione oppure una regressione difensiva e patologica da un livello più evoluto.
Nella dipendenza non c'è autentico riconoscimento dell'inter-dipendenza fra esseri umani, ma prosecuzione di ideazione e di atteggiamenti infantili o primitivi.

L'affiliazione a movimenti e gruppi (politici o religiosi) da parte di giovani in uscita dall'universo familiare è quasi sempre caratterizzata da idealizzazione e pretesa di "assoluto". Il fenomeno è attualmente connotato da più evidenti elementi di frammentazione, confusione e disordine.
Nell'appartenenza non finalizzata e non orientata il pensiero critico viene soppiantato dal pensiero dogmatico e dal pre-giudizio, l'etica individuale è sostituita dalla morale collettiva (senza reale conquista di moralità personale).

Durante il processo di definizione dell'identità personale è inevitabile affrontare il nodo della "solitudine" e quello della "compagnia" in quanto doveri, quindi in quanto elementi costitutivi della condizione umana e patrimonio di conflittualità non rifiutabile. Si tratta, infatti, di superare l'approccio superficiale ed egoistico alla solitudine come diritto in rapporto alla compagnia coatta o indesiderata, e così pure alla compagnia come diritto in rapporto alla solitudine forzata o non voluta.

Sia la solitudine che la compagnia necessitano di un lavoro di adattamento per dar luogo a vissuti positivi di libertà in assenza e in presenza degli altri esseri umani.

c) Infantilismo e immaturità

Il generale fenomeno di enfatizzazione della vita individuale nelle società più ricche dal punto di vista economico è caratterizzato dalla distribuzione su vasta scala di agognati "benefici materiali": prolungamento della vita media, aspettativa di benessere psicofisico, riduzione della funzione riproduttiva, accreditamento di piacere sessuale, valorizzazione della realizzazione sentimentale, aumento del tempo libero da lavoro, diversificazione delle identità personali e dei gruppi umani, possibilità di intervenire in senso correttivo su predisposizioni biologiche e psichiche, eccetera.

Meno visibile, perché patente ma connotata come una sorta di area cieca, è l'idealizzazione della giovinezza e dell'infanzia, per le quali la civiltà narcisistica manifesta un vero e proprio “debole".

La cultura di massa contemporanea concepisce, anche se spesso in maniera confusa e contraddittoria , l'età pre-adulta quale "epoca felice" e tende a volerne fare un "paradiso terrestre" in modo acritico e assoluto, attribuendo significato positivo a tutto ciò che si identifica come non maturo. In tal senso, chi è nella fase della "crescita" è percepito come ancora all'inizio della vita perché lontano dalla morte e dai suoi "rappresentanti" (malattia, inefficienza, invecchiamento, dolore, ecc.).

Il fatto di poter differire o evitare l'assunzione di responsabilità insieme alla autorizzazione a conservare un atteggiamento ludico nei confronti della realtà vengono considerati pregiudizialmente "buoni", sopravvalutando gli aspetti di "creatività" e "potenzialità" e al contempo sottovalutando gli effetti regressivi sul piano della vita sociale e del modello antropologico determinati dalla apologia dell’infantile.

Chi è "maturo" (adulto) è già pronto per la morte, va verso il nulla e ha già esaurito le sue chances. Chi è "immaturo" viene allora apprezzato e valutato con condiscendenza proprio perché ha la vita davanti e sembra lasciare alle spalle il nulla da cui è venuto.

La giovinezza è caratterizzata dalla "voglia", l'età adulta dalla "volontà". Il "giovane" sfrutta il credito della spinta ricevuta dai genitori e dagli "antenati", approfittando del ritmo della materia biologica e godendo del vantaggio di un moto automatico. I criteri prevalenti della condotta giovanile sono pertanto perlopiù passivi e impersonali: piacevole/spiacevole, comodo/scomodo, facile/difficile.
Organizzazione e progettualità sono in effetti espressione di una volontà capace di valutare l'interesse personale sullo sfondo della parabola esistenziale.

La valorizzazione aprioristica dell'immaturità finisce per impedire il riconoscimento della pericolosa regressione in atto sul piano della personalità. L'identità del giovane si riduce infatti ad aspettative puerili e non può crescere soffocata dalle erbacce del parassitarismo infantile.
Gli indici più evidenti, eppure poco o nulla considerati, sono la sopravvalutazione del bisogno di gratificazione-piacere, l'abbassamento della soglia di tolleranza alle frustrazioni, l'amplificazione della difficoltà di dilazionare/differire.

Gli individui si adattano così a sentirsi e ad essere più piccoli di quanto effettivamente siano; il futuro diviene, da terra di progettazione, dispensa di comfort materiali, poiché la preoccupazione principale è far durare i vantaggi garantiti dallo status di "minore" (mantenimento e cura ad opera di altri).

L'aspettativa smisurata di gratificazione non lascia spazio per la conquista graduale della capacità di trarre soddisfazione dalla vita e dalle cose, come l'illusione di un tempo infinito "davanti" non consente di prendere sul serio cadute ed errori, rischiando di trasformarli in autentici fallimenti.

d) Accettazione e normalità

Durante l'adolescenza si impone la presa di coscienza dell'esistenza di ciascuno come individuo distinto e specifico. Si tratta in qualche modo di un passaggio dall'Unita alla Frammentazione, nel senso di una trasformazione dell'auto-percezione da un livello elementare ad un livello complesso, con perdita del vissuto di "coerenza" del materiale umano in precedenza compattato dalla appartenenza alla famiglia di origine.

L'effetto di disgiunzione genera inevitabilmente un conflitto tra corpo, mente (intesa come facoltà razionale) e personalità, che in qualche caso può degenerare sino alla guerra aperta. C'è allora la possibilità che si strutturi una frantumazione, che blocca ogni prospettiva di sviluppo e crescita poiché tutte le risorse finiscono per essere poste al servizio dello scopo contenitivo (tenere insieme le spinte centrifughe di una individualità in pezzi).

Nell'epoca di transizione verso l'età adulta si determina quindi la necessità di procedere ad una riorganizzazione dell'identità, col rischio che alcune aree più o meno rilevanti (talora essenziali) vengano isolate e rimangano separate dal resto. La non integrazione di elementi significativi tende ad esprimersi con vissuti di vuoto e sterilità, generando nel tempo disgregazione e impoverimento.

La non-accettazione parla più facilmente il linguaggio della corporeità, in quanto l'identificazione nell'adolescenza è prevalentemente "fisica"; il corpo si pone come un terreno di applicazione e di conquista e quasi automaticamente "dà corpo" al disagio comunque motivato.

L'individuazione avrà il significato di una armonizzazione della personalità mediante un procedere parallelo sui diversi livelli di esistenza e di espressione del soggetto, connettendo le varie componenti in un primo tempo in rapporto al centro costituito dall'Io e in un secondo momento in rapporto al centro costituito dal Sé.

L'accettazione di sé è un compito che si pone sia nella dimensione personale che in quella sociale. Accettarsi e sentirsi accettati dagli altri sono problemi distinti e non sovrapponibili, rivestendo importanza diversa nelle diverse epoche della vita. L'autostima cresce in proporzione alla capacità di riconoscere i propri limiti e di organizzare le risorse effettive, riducendo la dipendenza dalla conferma/disconferma esterna e agganciando l'auto-valutazione alla consapevolezza e all'etica individuali.

Sovente il disagio del lavoro di auto-accettazione viene spostato sul terreno dell'immagine estetica o del potere relazionale come diversione dall'inquietudine biologica ed esistenziale. Accettarsi allora può sembrare questione di piacersi e piacere, con la conseguenza che gli altri vengano usati come specchi o giudici, vittime o carnefici.
La normalità/diversità può essere vissuta in modo superficiale o profondo, dando luogo rispettivamente a un dramma narcisistico improduttivo e potenzialmente letale, oppure ad una tragedia umana vivificante.

e) Maturità e umanità

Si può definire la maturità umana come una condizione in divenire, che coincide cioè con il processo di maturazione antropologica nel suo complesso (biologia, psicologia, spiritualità).
Maturare significa allora diventare pienamente se stessi esprimendo e conservando la propria identità come specificità. La morte, infatti, configura la dissoluzione dell'individualità dell'essere vivente (integrità e unitarietà) sia in quanto organismo sia in quanto soggetto.

Il lavoro di adattamento all'ambiente (interazione competitiva, mobilitazione risorse, prove proprie della specie, ecc.) prepara, accompagna e contribuisce a generare nel tempo uno status in cui trova compimento ciò che, pur con alcune varianti culturali, viene inteso come massima realizzazione di “umanità".

L'individuo abbandona la pretesa di "corrispondenza " del mondo al proprio volere e bisogno, comprendendo che l'apertura al mondo reale libera le risorse e rende possibile il loro investimento efficace.

L'atteggiamento di "adattabilità" ha diretti riscontri nella vita affettiva e sessuale. Si tratta, in effetti, di superare la posizione di chi vuole essere amato (oggetto d'amore) e di accedere a quella di chi ama (soggetto d'amore); mentre nella sessualità il passaggio è dalla aspettativa di reagire/rispondere solo a ciò che piace o attrae (assecondare preferenza-inclinazione) alla capacità di trarre piacere dalle esperienze e dalle persone in modo attivo, organizzato e flessibile (aumentare suscettibilità ai piaceri).

È possibile identificare nei seguenti alcuni tratti di una maturità umana auspicabile:

A) rinunciare alle illusioni in quanto schemi e schermi consolatori per leggere o interpretare se stessi, gli altri e la realtà;

B) accettare l'imperfezione e il fallimento parziale della propria realizzazione, come pure degli altri e del mondo;

C) venire a patti col destino riconoscendo predisposizioni, sviluppando quelle costruttive e controllando volontariamente quelle distruttive;

D) contenere la sofferenza vivendola, elaborando la e riducendo la sua diffusione all’esterno;

E) volgere al bene ogni evento, anche negativo, rendendo le esperienze buone e utili in quanto capaci di aumentare consapevolezza e saggezza

Mattia Morretta (1997)