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Un'identità (omosessuale) da costruire

Chi si identifica come "gay" purtroppo di solito si riduce a una pratica sessuale e amorosa che riflette soprattutto le fantasmizzazioni altrui.

Gran parte dell'esistenza di un omosessuale trascorre tentando di togliersi di dosso la pelle incollata dalle proiezioni secolari: prima di capire chi si è e come sia possibile recuperare la dignità di persona a tutto campo, si deve passare attraverso le forche caudine di pregiudizi negativi.

Nonostante le apparenze. l’attività politica che circola nei mass media non ha conseguenze nei rapporti sociali diretti e indiretti, laddove si può incidere con l’educazione sulla capacità di comprendere la condizione e l’esperienza degli omosessuali, andando oltre stereotipi e ovvietà sulla loro “natura”.

Gli omosessuali si attendono dalla collettività ben più della semplice tolleranza, un vero e proprio interesse ad accoglierli, un’aspettativa ingenua di essere "amati" per quello che sono.

Ora, se è giusto chiedere rispetto e un posto in società, non può essere delegato ad altri il lavoro dell’accettazione: ognuno deve accettarsi e rendersi in un certo senso anche "amabile”.
Più si entra in profondità in se stessi, più il mondo appare ripulito, aumentano gli interlocutori disposti a una comunicazione più significativa e diviene praticabile un'accettazione reciproca.

L’omosessualità contemporanea emerge da coltri secolari di anormalità e malattia, ma è meglio una malattia reale di una pseudo salute, partire dall’idea di malattia aiuta a radicarsi nella realtà.
C'è invece chi pretende di guarire senza esser stato malato, di essere normale senza esser stato diverso.

Si punta a presentarsi al medesimo livello della normalità altrui, reputata auspicabile e desiderabile, in quanto salute e salvezza. Nelle aggregazioni gay si dissimula il trauma di far parte di una componente del genere umano schiacciata da definizioni spregiative, profezie di solitudine, colpa e vergogna, nascondendo il marchio di Caino sotto l'aspirazione a gratificazioni istintuali, la sfrenatezza sessuale compensativa, oppure l’accoppiamento con un partner selezionato o elettivo.

Il modello attuale, infatti, è lo stile famigliare, la coppia e l’accesso agli status symbol assertivi correlati (matrimonio e adozioni). Un tentativo goffo di marcare il territorio cercando di occupare posizioni di presunto vantaggio o beneficio.

In parte è pure una reazione all'epidemia Hiv, che ha confermare tutti i pregiudizi sull’esclusione degli omosessuali dai processi di riproduzione e di conservazione della specie.

Quando ci si colloca ai margini del circuito vitale, si finisce necessariamente per girare intorno al polo della morte, che è destino e ricompensa di chi non può generare vita ed è votato alla ripetizione di atti sterili e insensati.
Non per nulla i luoghi comuni ricorrono agli organi sessuali e agli orifizi per far riferimento agli omosessuali, perché mancano concetti e parole e perché li si pensa (e ci si pensa) “a pezzi”.

C’è allora tutto un lavoro da fare sulla “natura” omosessuale, su cosa significhi e implichi praticare l'omosessualità.
Occorre chiedersi: Cosa vuole un omosessuale?

Non aiutano le trappole degli ambienti gay, nei quali si afferma ciò che sembra vietato in società, bloccando l’autodefinizione e l’azione al livello delle indicazioni esterne, nonché in un'ottica oppositiva.

Il compito di liberarsi dai fantasmi e costruire un’identità autonoma è durissimo, perché nel frattempo si tratta di affrontare la vita quotidiana in tutte le sue prove, illudendosi di poter essere aiutati, capiti, accettati dai congiunti che dovrebbe poter andare oltre la macchietta e lo stereotipi grazie al coinvolgimento affettivo.

Quando si dice "sono omosessuale” si verifica un oscuramento delle caratteristiche personali, l’individuo viene risucchiato in una sorta di sentenza che esaurisce le possibilità comunicative, perché gli altri presumono di sapere chi è, cosa vuole e a cosa aspira.

Per questo le Organizzazioni sociali dovrebbero servire a creare occasioni per trovare interlocutori attenti e sensibili, compagni di viaggio coi quali approfondire il senso della propria particolarità e valorizzare il potenziale creativo associato all’esperienza omosessuale.

Non si tratta di portare gli omosessuali dalla periferia al centro della società, bensì di farli emergere riportandoli al centro della propria vita. I gay invece aspirano alla normalità degli altri, non rinunciano al ruolo di vittima dell’ostracismo sociale, pretendendo che libertà e salvezza si collochino fuori.

Si può pure essere riconosciuti dalle Istituzioni come soggetti sociali, ma poi non si è in grado di riconoscersi come persone, in quanto identificati esclusivamente con quel pezzo di sé che consente di diventare consumatore e cittadino "speciale".

Assurdo credere che soltanto quando l’intera società sarà "a favore" si avranno concrete opportunità di un'esistenza soddisfacente. Sbagliato limitarsi a una lotta politico-sindacale al posto di una battaglia culturale ed etica, unica strada per dare produttività all’esperienza omosessuale.

Andrebbe perciò elaborato un modello di relazione sociale all’interno dei gruppi omosessuali, prevenire il vivacchiare in serie B, un vivere superficiale e inconsistente, che non produce rete sociale e talora merita il disinteresse altrui.

Occorrerebbe rendersi amabili, desiderabili, interessanti, arricchire il proprio potenziale umano, affinché si possa constatare che c’è da guadagnare a condividere la diversità quando è ricca di contenuti. L’identità infatti si associa alla responsabilità a dare il meglio di sé, sviluppando il proprio specifico potenziale.

Bisogna pertanto partire dall'ammettere l'impossibilità di dare valore a personalità e salute nelle attuali condizioni, perché nei circuiti gay non c’è posto per il confronto esistenziale, non si parla di vita e di morte, malattia, sofferenza, della fatica di vivere in quanto esseri umani.

Tutti si presentano mediante la banalizzazione di se stessi, preferiscono mantenere la testa nel consumismo che dà diritto alla realizzazione di ogni presunto desiderio e rifiutano la coscienza della mortalità e della lotta per la sopravvivenza.

L’identità viene fatta dipendere dall’ostilità o dall’indifferenza sociale, invece che dalla accettazione di sé, sommando al diniego o alla trascuratezza altrui la propria negligenza. Così non rimane che scegliere quale padrone servire: il demone della colpa o quello della perversione.

Mattia Morretta
Testo originale Identità vo cercando in Babilonia n. 152, Febbraio 1997