Convegno Nazionale Numero Verde Aids
6 Ottobre 2014
Il disagio psicologico nei Centri HIV/MTS, 2004
6 Ottobre 2014

La consulenza psicologica nel NOPA (Nucleo Operativo Prevenzione Aids) di Milano

La consulenza psicologica generica

L'offerta di base per l'utenza del Nucleo Operativo Prevenzione Aids è la consulenza sulla motivazione e sulla utilità del test di screening ad opera dei sanitari addetti. Ciò implica un impegno di carattere conoscitivo ed educativo da parte del medico, allo scopo di aumentare la consapevolezza personale dell'utente a partire dalla percezione del rischio di contagio.

Il colloquio fondato sulla richiesta del test si configura per l'individuo come un'occasione di riflessione sul comportamento e sulle rappresentazioni soggettive della vita di relazione, il cui esito dovrebbe consistere in una concezione più obbiettiva e realistica della problematica e di conseguenza in un miglioramento delle capacità di adattamento alla realtà in generale.

La consulenza sanitaria si articola nei momenti che precedono e seguono l'effettuazione del prelievo (che per altro può essere escluso o differito proprio in relazione a tale valutazione), potendo dare adito ad approfondimenti successivi per consentire al soggetto di aumentare la propria competenza, intesa come facoltà di utilizzare proficuamente le conoscenze possedute.

Il medico può pertanto aiutare l'utente a fare chiarezza e a porre ordine riguardo alle circostanze che l'hanno condotto a rivolgersi al Servizio, sia dal punto di vista del bagaglio informativo che dal punto di vista esistenziale, in situazioni di normalità e di lieve disagio o transitorio disadattamento.

In tal caso il "sostegno psicologico" è inteso come momentaneo e parziale prestito di risorse psichiche all'individuo alle prese col tentativo di trovare una strategia relazionale che riesca a tener conto del pericolo rappresentato dall'Aids per la salute e la vita stessa.

Chi si avvicina al Servizio ( in modo sia diretto che indiretto - vedi Centralino Telefonico Aids ) è quasi sempre, in modo più o meno in-consapevole, alla ricerca di una modalità di concettualizzazione del rischio Hiv che consenta di ridurre al minimo la variazione delle aspettative preesistenti circa lo stile di vita in ambito sessuale e affettivo.

L'utente ha bisogno, invece, di comprendere quanto possa risultargli utile dedicare del tempo alla riflessione sul dis-agio correlato alla paura dell'Aids. L'operatore può così accompagnare l'utente nel passaggio da una rappresentazione del rischio di contagio approssimativa e generica, sostanzialmente emotiva, ad una concezione dell'Aids non solo realistica bensì anche "utile" in prospettiva, quindi fondamentalmente ragionevole e auspicabile.

Ciò può avvenire rendendo il soggetto consapevole delle operazioni difensive inefficaci o controproducenti (deficitarie, eccessive, inappropriate, depressive, fobico-ossessive, maniacali, ecc.) poste in atto nei confronti del problema e favorendo un'interpretazione costruttiva della "crisi", cioè enucleandone il potenziale evolutivo e migliorativo.
Il medico in tal modo utilizza esplicitamente la valenza educativa connaturata al proprio ruolo.

L'Aids (come ogni altra seria minaccia alla sopravvivenza) si configura come una prova del nove per l'integrità della persona, in quanto sollecita inevitabilmente inquietudini profonde e impone un lavoro di ridefinizione dell'identità e di riorganizzazione della condotta.

L'individuo nella sua globalità è chiamato ad una verifica delle modalità abituali di difesa a livello cognitivo ed emozionale per far fronte al pericolo stra-ordinario e ripristinare una condizione di "equilibrio dinamico".
Per far questo ha bisogno di poter utilizzare tutte le "risorse" a sua disposizione e di rendere "flessibili" le difese psichiche, poiché sono proprio l'inerzia e la rigidità del "sistema" a compromettere l'adattamento all'ambiente.

Nel caso degli adolescenti e dei giovani al debutto sessuale è in gioco in senso letterale il futuro, in un momento di passaggio già delicato e complesso caratterizzato dallo sforzo di riuscire ad esprimere la potenzialità sessuale integrandola nell'insieme della personalità.

Per chi ha già un bagaglio consolidato di pratica ed esperienza è giocoforza rimettere in discussione la sicurezza derivante dall'idea di essersi assicurato una volta per tutte il "controllo" della problematica sessuale, poiché una verifica si impone anche quando viene confermato lo stile di vita precedente con l'aggiunta degli opportuni correttivi, pena il fallimento della strategia esistenziale.

Per il medico si tratta allora di aiutare il soggetto affinché sia più probabile la ristrutturazione autonoma della situazione di "crisi", offrendo il supporto di conoscenze specifiche e di una visione panoramica ed obbiettiva sulle difficoltà e sulle opportunità.

Il medico consulente si propone quindi come "interlocutore" per promuovere la capacità dell'utente di auto-aiutarsi riorganizzando il patrimonio di risorse già disponibili e attivandosi, eventualmente e se necessario, per rinvenirne o svilupparne altre.

Per lo più, i soggetti che accedono ai Centri Screening costituiscono una frazione della popolazione piuttosto "sensibile" e "attenta", che non riesce a rimuovere o negare senza significative e dolorose conseguenze emozionali l'esistenza dell'Aids. Nella maggior parte dei casi la tematica della "responsabilità" è centrale e individua un'area ad elevata valenza emozionale, che può rappresentare un punto debole o un punto di forza (o entrambi) per l'individuo.

La preoccupazione per l'integrità fisica propria e altrui indica una potenzialità positiva in termini di "consapevolezza", ma risulta sufficientemente ambigua da funzionare come "copertura" di disagi di natura narcisistica e può anche essere usata al posto di azioni di effettiva tutela, quindi può dar luogo ad una pseudo-coscienza preventiva e a compromessi sul piano morale (per es., angoscia quale pagamento per il senso di colpa).

L'utente medio del Servizio "tende" a un livello superiore di consapevolezza, ma passa attraverso un periodo di "crisi" (la cui durata può talora risultare persino di anni), durante il quale procede per tentativi ed errori cercando di apprendere nuovi dati sulla realtà e al tempo stesso di tenere lontano il pericolo con una sorta di pensiero magico (buoni propositi e gesti esorcistici finalizzati all'auto-rassicurazione), allo scopo di risolvere il problema dell'inquietudine generata dall'idea del rischio di contagio.

Anche l'effettuazione del test può essere usata per negare parzialmente la realtà ed evitare la presa d'atto della inevitabilità di un cambiamento, per quanto modesto o pensato in prospettiva come transitorio, sul piano della rappresentazione mentale e della condotta in riferimento alla sessualità.

Il periodo che precede l'esame e poi il ritiro dell'esito è caratterizzato in tal caso da rituali propiziatori e ansia espiatoria, da un uso emotivo delle informazioni sanitarie e da un'atmosfera di resa dei conti definitiva e risolutoria. Ciò può pregiudicare l'acquisizione di una effettiva coscienza e vanificare lo sforzo conoscitivo sostenuto sino al momento del test.
Le conoscenze, infatti, dovrebbero costituire la base di un arricchimento della consapevolezza per preparare una modificazione del modo di "fare esperienza" da parte del soggetto.

La gran parte delle persone tenta di operare un conciliazione tra il desiderio di vivere la sessualità in modo "spontaneo" e "libero", il che significa con un alto grado di disinvoltura e spensieratezza (identificando un'età dell'oro precedente o successiva all'Aids), e il bisogno di garantirsi sicurezza e stabilità, cioè ridurre al minimo l'incertezza e l'imprevisto riguardo all'integrità fisica e alla vita sociale.

I più si augurano pertanto di poter mantenere intatte le aspettative di gratificazione e di affermazione in ambito sessuale, senza dover fare i conti con una quota elevata di preoccupazione riguardo alle conseguenze dei propri gesti.

Molte energie vengono perciò spese per garantire la "continuità" della pratica e della teoria antecedenti alla percezione del rischio Aids, e contemporaneamente evitare angoscia e senso di colpa, insicurezza e stato di continua vigilanza. Il cambiamento richiesto dalla situazione attuale viene ritenuto, a torto, necessariamente ed esclusivamente peggiorativo.

L'obiettivo principale del soggetto pare allora quello di realizzare un difficile compromesso tra l'esigenza di cambiare il meno possibile e il desiderio di evitare il pagamento della "tranquillità" con la rinuncia a una parte dei crediti vantabili in ambito sessuale. La questione della responsabilità personale nell'area della vita di relazione (sessuale e affettiva), tenendo conto dei fattori socio-culturali e biologici che la condizionano, risulta alla fine il minimo comun denominatore di tutte le problematiche in gioco e per tutti i soggetti coinvolti.

L'operatore del Servizio, consapevole delle difficoltà oggettive create o enfatizzate dall'Aids in una dimensione dell'esistenza umana già altamente conflittuale quale quella della sessualità, può rappresentare per l'utente un'occasione di verifica e di confronto nel merito delle categorie concettuali di definizione e interpretazione dell'area sessuale usate abitualmente (pregiudizi, stereotipi, credenze e convinzioni irrazionali, ignoranze difensive, ecc.), nonché un'opportunità di orientamento rispetto al bisogno di approfondimento ed eventualmente aiuto.

La consulenza verte dunque "naturalmente" sulle modalità di concepire e praticare il sesso da parte dell'utente che richiede di effettuare il test anti-Hiv o di conoscere meglio la tematica dell'infezione da Hiv, al fine di consentirgli una percezione più adeguata di se stesso in rapporto al rischio di contagio:
- quanti e quali gli ostacoli o gli impedimenti soggettivi nell'adozione di misure precauzionali?
- quali i limiti culturali, morali, emozionali nell'interpretazione del problema?
- quali le risorse già disponibili o rinvenibili in termini di acculturazione, approfondimento di specifici contenuti, referenti e interlocutori appropriati, documentazione, ecc.?

La valorizzazione dell'attitudine ad avere cura di sé, per quanto contraddittoria o approssimativa fino al presente, costituisce la leva di un processo volto a stabilire tra l'operatore e l'utente una "alleanza terapeutica" pur in assenza di patologia, anzi nell'ottica di rendere altamente improbabile la patologia specifica (Aids e MTS), realizzando così compiutamente la finalità preventiva del Servizio.

Un auspicabile esito della consulenza è il miglioramento della capacità dell'utente di far uso dei servizi pubblici territoriali, intendendo con ciò la capacità di individuare nelle strutture sanitarie distribuite sul territorio gli interlocutori per le problematiche emerse evidenziate nel contatto con il centro screening.

Ne consegue che è sempre opportuno incoraggiare l'utente ad approfondire la relazione col medico curante (medico di base), in quanto riferimento e garante istituzionale della salute dei cittadini. Ciò favorisce un processo di "normalizzazione" di cui anche la problematica Aids ha bisogno.

La consulenza psicologica specialistica

La consulenza psicologica a opera di specialisti (psichiatra e psicologo) costituisce un'offerta supplementare e va concepita come scelta di considerare e validare i bisogni psicologici dell'utenza ma in relazione alla natura e agli scopi specifici del Servizio.

L'elemento del rischio Hiv è in tal senso centrale e discriminante, in quanto permette di selezionare il tipo di utenza cui offrire l'opportunità di un sostegno specialistico. Non è infatti sufficiente la constatazione di bisogni psicologici o stati di disagio psichico tra gli utenti.

Dato che la struttura garantisce libero accesso, anonimato e gratuità, molteplici situazioni di degrado sociale e di psicopatologia (compresa la franca patologia psichiatrica) finiscono per impattare sul Servizio, facendone una sorta di crocevia del disagio di qualunque natura e origine.

Ciò comporta la necessità di definire con precisione le condizioni che richiedono un'opera di supporto più consistente in funzione degli obiettivi educativi e preventivi del Servizio, evitando di prendere in carico o di divenire punto di riferimento per soggetti portatori di problematiche di disadattamento sociale, oppressi da serie forme di disagio psichico affetti da disturbi mentali di pertinenza psichiatrica.

Si possono individuare quattro gruppi o tipologie di utenti che richiedono particolare attenzione da parte degli operatori e possono costituire oggetto di uno specifico intervento psicologico (inteso anche come selezione negativa, cioè di esclusione).

Soggetti "preoccupati sani" (Worried Well), che manifestano sospetto o convinzione di contagio/malattia in assenza di fattori di rischio significativi e realistici, e in presenza di uno stato di instabilità psicologica di gravità medio-superiore.

Vanno tenuti distinti i casi di disagio da quelli di disturbo psichico, considerando passibili di consulenza psicologica soltanto i primi, benché risulti difficile definire in quali circostanze possa trovare indicazione il consulto specialistico per il disturbo mentale lieve o moderato nell'ambito del NOPA.

Situazioni rilevanti e significative per frequenza nel Servizio:

a) Disagio psichico: Ansietà situazionale o contingente (adulterio, rapporto mercenario, trasgressione sessuale, dinamiche di colpevolezza/espiazione, sfiducia verso il partner abituale, ecc.);
Fase critica (prime esperienze sessuali, laurea, matrimonio, gravidanza, maternità/paternità, lutto o perdita affettiva, licenziamento o pensionamento, ecc.);
Disadattamento o egodistonia relativamente all'orientamento sessuale.

b) Disturbo psichico: * Sindrome ansioso-depressiva * Ipocondria *Fobia/ossessione *Monomania (convinzione maniacale) * Psicosi preesistente (schizofrenia, depressione psicotica,ecc.) * Sindrome dei vagabondi ospedalieri (Munchhausen).

Per i soggetti affetti da disturbi psichici (patologia strutturata) la consulenza specialistica in sede è sempre inopportuna. E' pressoché certo, infatti, che accogliere la domanda nel contesto di un servizio per l'Aids fornisca ulteriore accredito alla patologia mentale.

L'uso distorto della problematica Aids riceve conferme tramite l'effettuazione del test in assenza di un "garante" istituzionale (medico di base o psichiatra del CPS), cioè di un operatore sanitario riconosciuto e autorizzato per contrattare col paziente l'utilizzazione del risultato , dato che non è possibile lavorare sul piano della motivazione per difetto del giudizio di realtà.

A sua volta, il colloquio con lo specialista, psicologo o psichiatra, connotato dall'Aids rafforza la rivendicazione da parte del paziente di interlocutori "straordinari", e quindi compromette e ritarda la presa d'atto della reale natura o della gravità del problema.
Lo stesso consulto medico, in effetti, può essere considerato efficace solo se riesce a ridimensionare la pretesa di diagnosi o patologia organica e non la paura dell'Aids.

Quando è necessario o opportuno un trattamento con psicofarmaci, il paziente va rinviato al medico curante o al referente psichiatrico, se già esistente. Laddove per il paziente non siano facilmente accessibili figure istituzionali o sociali (compresi i congiunti), va valutata l'ipotesi di svolgere un'opera di mediazione attiva con i servizi territoriali (contatti con medico di base e CPS).

La gran parte dei casi ascrivibili alla categoria del disagio psichico (ansietà situazionale e fasi critiche della vita), è affrontabile nell'ambito della attività ordinaria del Servizio, poiché è compito del medico mettere la persona in condizioni di comprendere come i fattori emotivi compromettano la percezione e l'interpretazione delle esperienze.
L'obiettivo rimane una concezione realistica del rischio Hiv. Se il contenimento dell'ansia risulta insufficiente, è indicato il rinvio al curante per un intervento diretto o per visita specialistica.

Un consulto aggiuntivo a quello medico può essere proposto nei casi caratterizzati da intenso disagio psichico, laddove esso sia indice, in soggetti giovani, di tratti nevrotici di personalità e al contempo sia ragionevole supporre o sia accertabile una concreta esperienza di rischio nella vita sessuale.

L'accento è posto, pertanto, sulla sproporzione della reazione ai fatti reali e non sull'inconsistenza o insussistenza degli stessi. In tali circostanze, i soggetti possono trarre giovamento da un numero esiguo di colloqui finalizzati a promuovere la motivazione alla richiesta di aiuto specialistico (es., psicoterapia).

L'omosessualità ego-distonica può comportare la proposta di consulenza psicologica, in particolare se si accompagna a comportamenti irresponsabili e rischiosi dal punto di vista delle MTS e dell'Hiv.

Per i soggetti Hiv positivi, diagnosticati presso il NOPA l'offerta di consulenza psicologica va fatta in modo sistematico, ma come garanzia di un supporto competente ulteriore rispetto a quello del medico di riferimento (cui pertiene il sostegno ordinario) in caso di bisogno.
L'utente Hiv positivo può richiedere autonomamente un appoggio psicologico finché mantiene il rapporto con la struttura, ma non in seguito.

In previsione della cessazione di tale rapporto, il paziente va orientato circa le offerte di assistenza sanitaria e psicologica presenti sul territorio, e, se è stato seguito dal punto di vista psicologico nel NOPA, va accompagnato dall'operatore in questione nel passaggio a nuova figura di riferimento per le problematiche psichiche, o nel contesto delle specifiche strutture per la cura dell'infezione da Hiv o nell'ambito dei servizi per la salute mentale.

Il sostegno psicologico per i pazienti Hiv positivi si configura come lavoro di adattamento alla diagnosi e alle sue conseguenze, per un periodo di tempo limitato (al massimo 10-12 colloqui) e con obiettivi definiti:
riduzione del malessere prodotto dal trauma della diagnosi,
impostazione di una strategia esistenziale costruttiva e orientata al ben-essere,
eliminazione o ridimensionamento delle reazioni patologiche all'angoscia,
verifica delle risorse e delle abilità di convivenza,
individuazione delle aree tematiche da affrontare in prospettiva,
definizione dei nodi problematici antecedenti alla diagnosi.

Le persone Hiv positive con disturbi psichici preesistenti (td ed ex-td, omosessuali ego-distonici, donne con predisposizione a legami fallimentari o degradanti, pazienti psichiatrici) vanno incoraggiate a prendere o riprendere contatto con le strutture competenti e, in taluni casi, inviate in modo formale (comunicazione diretta dell'operatore NOPA con gli operatori candidati alla presa in carico).

L'accettazione di richieste di consulenza psicologica provenienti da altri servizi per loro utenti Hiv positivi va ridotta al minimo e limitata a condizioni molto particolari (mai per stati di urgenza o necessità), compatibilmente con le esigenze del NOPA e con la disponibilità di operatori competenti.

Per i soggetti Hiv negativi, che effettuano il test in modo periodico nel NOPA in quanto partner di Hiv positivi l'offerta di un aiuto specifico è indicata quando sono evidenti difficoltà di adattamento (fenomeni ansiosi, somatizzazioni, depressione, attitudine fatalistica o vittimistica), oppure prevalgono atteggiamenti improntati all'indifferenza e alla disinvoltura (negazione, sfida, fatuità).

Allorché, nonostante l'approfondimento operato dal medico di riferimento, permane elevato il rischio di contagio per oggettive difficoltà o resistenze emozionali nell'adozione precauzioni, il soggetto va incoraggiato ad usufruire dell'aiuto dello specialista, psichiatra o psicologo, all'interno o all'esterno del Servizio. La proposta è motivata anche in caso di peggioramento delle condizioni di salute del partner e in caso di morte dello stesso.

Coloro che hanno intrapreso da poco tempo una relazione con un soggetto Hiv positivo, possono aver bisogno di chiarire le motivazioni e i fondamenti dell'eventuale prosecuzione del rapporto, al di là della conoscenza dei rischi sanitari e delle norme preventive.

Un aiuto può essere offerto pure a quanti scoprono in modo brutale o improvviso la sieropositività del partner abituale. Il sostegno psicologico va comunque inteso come limitato nel tempo e focalizzato su questioni ben definite.

Va valutata la possibilità di prendere in considerazione, per brevi interventi, congiunti diversi dai partner sessuali.

Altro gruppo candidabile sono i soggetti con problematiche relative alla condotta sessuale, la cui esposizione al rischio di contagio può essere valutata come superiore alla media, proprio a causa di abitudini comportamentali favorenti o di relazioni con partner più esposti:
a) Eterosessuali ad elevata promiscuità
b) Individui dediti al turismo sessuale
c) Omosessuali con coazione sessuale (dipendenza dall'esercizio del sesso)
d) Omo-Bisessuali non noti alla partner-coniuge
e) Etero ed omosessuali con abituale ricorso a rapporti mercenari
f) Individui che esercitano la prostituzione (professionale ed occasionale)
g) Partner di soggetti a maggior rischio (td, alcolisti, pazienti psichiatrici, altri di cui ai punti precedenti).

Quando l'intervento informativo ed educativo del medico, pur puntuale e reiterato, risulta inefficace ai fini della prevenzione e si possono individuare segni di sofferenza emotiva, al soggetto va proposta la consulenza con lo psichiatra o lo psicologo, allo scopo possibilmente di mettere in luce i problemi interferenti con l'adozione di misure precauzionali e soprattutto individuare una strategia difensiva praticabile (riduzione del danno).

La discussione delle problematiche sessuologiche può favorire la presa di coscienza del disagio psichico spesso "coperto" dalla particolarità delle abitudini sessuali (devianza, trasgressione, perversione), predisponendo e preparando il terreno ad uno specifico lavoro terapeutico da effettuare in altri servizi.

I colloqui psicologici vanno intesi anche in tali casi come focalizzati e per breve periodo, prevedendo se necessario o opportuno l'invio ad altre strutture o l'orientamento sulle possibilità di cura.

Mattia Morretta (agosto 1996)