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Corpo dalla A alla Zeta

Se ci domandassero cos’è il corpo, ciascuno di noi risponderebbe probabilmente in maniera diversa. Moltissimi infatti sono i modi di pensarlo e di viverlo, in rapporto alla situazione personale e al contesto sociale. La sua immagine varia col succedersi (e il ripetersi) delle mode, cambia al passaggio delle frontiere e dei confini regionali, si modifica col clima e le caratteristiche geografiche, dipende dai fattori razziali e risente persino dell’organizzazione politica degli Stati.

La superficie esteriore riflette sempre un’idea, una modalità di concepire il corpo, la sua funzione e il suo valore. Ogni cultura elabora un proprio modello, non solo in termini di ideale estetico, ma anche come schema mentale in base al quale interpretare tutto ciò che compete alla fisicità, e ciò si traduce in concreta esperienza percettiva e comportamentale.
La nostra storia individuale conferisce inoltre significati del tutto privati al vissuto corporeo, tanto che si potrebbe dire che ogni corpo è davvero diverso dall’altro essendo testimonianza di irripetibili vicende esistenziali.

Il corpo dunque può essere un concetto o una nozione, un simbolo o un mito, una realtà o una fantasia. Tutti gli ambiti in cui la fisicità è in primo piano “pretendono” un certo tipo di corporeità e ritagliano sul corpo e nel corpo quanto è loro funzionale.

Così, il corpo del paziente nell’ambulatorio medico non è lo stesso del cliente dell’istituto di bellezza; quello dell’aspirante ballerino nella scuola di danza non è uguale a quello dell’avventore nel locale destinato agli incontri sessuali. Non c’è soltanto un abito per ogni occasione, bensì pure un corpo per ogni circostanza.

Scrive G. Abraham :“Noi credevamo ormai di aver bene in mano questo corpo, in realtà abbiamo appena incominciato a capirlo”.

Buono e cattivo

Il corpo può essere concepito come “buono” in quanto sorgente di energia e vitalità, oppure “cattivo” in quanto pericoloso e selvaggio come un cavallo da domare. Il criterio buono-cattivo viene usato nella sua divisione in parti diversamente giudicate.

La destra è fin dall’antichità considerata migliore, tanto che il termine sinistro viene utilizzato per indicare qualcosa di sospetto o minaccioso. Ciò accade malgrado la metà destra del corpo sia in realtà regolata dalla parte sinistra del cervello, che è anche sede delle funzioni razionali e matematiche, mentre l’emisfero destro è collegato in particolare alle funzioni artistiche e irrazionali.

Le parti alte sono ritenute di norma più importanti delle basse o comunque sia di maggior valore, il che, al di là delle considerazioni morali, può riflettere la conquista della posizione eretta: l’alto e il verticale sono stimati come dimensioni tipicamente umane. Del resto, la parte più alta del corpo è il cervello e soprattutto la corteccia cerebrale, luogo delle facoltà psichiche superiori e del pensiero. Le altre zone del sistema nervoso centrale, pur necessarie, vengono sentite come inferiori e in qualche modo pericolose. In caso di lesione dei centri cerebrali sembra verificarsi una ribellione contro il controllo corticale attraverso riflessi e automatismi primitivi inadeguati al nostro livello di sviluppo.

Il cuore, che pure ha ricevuto sempre grande considerazione, è oggi meno quotato del cervello, tanto che la vera morte consiste nella cessazione di funzionamento cerebrale e non nell’arresto cardiaco. Il cuore resta per il centro dei sentimenti e delle emozioni per gli occidentali, mentre per gli orientali è il ventre il centro simbolico della persona. Le esigenze del cuore sono a volte contrapposte a quelle del corpo, esistono persone di "buon cuore" e altre “senza cuore” (in questo caso molto meno umane).

Alcuni organi sono ben visti, altri sono reputati secondari o addirittura ignorati. Chi si occupa mai del pancreas, ad esempio? La clitoride è stata vista per secoli quale aborto anatomico, al massimo pene atrofizzato, i suoi significati di piacere ed autonomia le son costati ignominia e condanne senza appello sino a qualche decennio fa. I genitali maschili a loro volta sono stati osannati ed esibiti in certe epoche, nascosti e ritenuti indecenti in altre.

I testicoli sono buoni se serbatoio di spermatozoi fecondanti, cattivi se officina del seme onanistico. Per il piacere erotico essi possono apparire superflui, ma per l’integrità personale possono venir considerati persino più importanti del pene (fa più paura l’evirazione o la castrazione?).

Il sangue è vissuto in genere come buono, simbolo dell’essenza vitale e testimone dei legami parentali o delle sacre alleanze, eppure può diventare marchio odioso oppure inquietante liquido veicolo di terribili malattie.

Il corpo armonioso, dalle belle forme, sembra esprimere qualcosa di più del semplice bello, un tempo segnalava la benevolenza degli dei a fronte della maledizione inscritta nelle deformità fisiche. Il corpo dei Greci era valorizzato come presenza nel sociale, mezzo di dominio e palestra del perfezionamento morale, quello dei Cristiani è divenuto campo di battaglia fra il bene e il male, da un lato è portatore di valori spirituali, dall’altro lato è la carne della perdizione. In Oriente è stato concepito più quale “recipiente”, degno di attenzione ma superabile e transitorio (nella reincarnazione), nel moderno Occidente è diventato ora macchina da mantenere efficiente e funzionante, ora elemento di identità sociale e status symbol, il corpo civilizzato, catalogato e controllato di cui si è responsabili anche legalmente.

Vitale e mortale

A seconda delle circostanze abbiamo del corpo un’immagine statica o dinamica. Talora lo desideriamo certo e definitivo, talaltra lo preferiamo passibile di cambiamenti e trasformazioni; si sviluppa lentamente o inesorabilmente in rapporto alla percezione che ne abbiamo.

Alla sua comparsa nel mondo ci appare dotato di una potenza quasi infinita: è il corpo affascinante e arcano del bambino. La sua energia vitale cresce gioiosamente per giungere alla maturità e poi decrescere tristemente. Questo continuo mutamente, che non è dell’ordine di anni ma di giorni e ore, fa paura quando viene avvertita con chiarezza. Ed ecco i tentativi di misurare, spiegare, rendere in cifre e numeri le varie dimensioni, per assumere un controllo su processi sentiti come indipendenti dalla volontà dell’uomo. Nonostante tutto, si spera sempre nel ritorno delle energie perdute e si rifiuta l’idea che qualcosa di noi sia irrimediabilmente perso.

Il corpo statico si può toccare, registrare, tradurre in diagrammi, quello dinamico è imprevedibile e misterioso, capace di tutte le mutazioni e egli slittamenti. Il corpo statico è situato in uno spazio presente e sicuro, quello dinamico è immerso in un flusso temporale che travolge e modifica; il suo futuro infatti non ci appartiene, sul suo domani non possiamo dire oggi l’ultima parola.

Così esso è insieme qualcosa di certo e prova vivente dell’indefinito, ciò che diventiamo quasi contro voglia e senza volerlo, riservando sorprese gradite o drammatiche delusioni.

Nel corpo le correnti di vita si intersecano con quelle di morte, a volte con disinvoltura altre con angoscia. La morte comincia alla nascita, eppure viene creduta evitabile all’infinito. Per ogni sviluppo evidente quanti sfaceli nascosti, cellule che si sfaldano e muoiono, cose che cambiano dentro di noi e non sono più quelle di prima. L’involuzione e la distruzione sono pari in effetti allo slancio evolutivo, il corpo che cresce è anche quello che si perde per strada.

Il corpo può essere sano e dotato di benessere, oppure malato e veicolo di sofferenze, paese dei balocchi e campo di grano soleggiato, oppure valle di lacrime e angusta caverna mai visitata dal sole. Invincibile e inattaccabile o timoroso e indifeso; indifferente agli insulti atmosferici o alla mercé di sostanze estranee, virus e demoni.

Lo possiamo pensare sottoposto a innumerevoli e stressanti influenze esterne o interne, o invece positivamente influenzato dall’esercizio e dagli stimoli ambientali. Ci appare bisognoso di attenzioni, cure e comfort, oppure capace di adattarsi a ogni condizione, comprese le più sfavorevoli.

È subito vinto dall’evento imprevisto e al contempo più ricco di risorse di quanto immaginabile; fonte di solide certezze e sorgente di tragiche insicurezze, nostra fierezza e nostra vergogna.

Naturale e culturale

Il corpo è percepito come la matrice organica che ci permette di mantenere salde radici nella natura e allora viene visto “nudo”, libero da influenze culturali e svincolato da consuetudini sociali. È il corpo primigenio e incorrotto, da riscoprire e ritrovare sotto le coltri di repressioni e inibizioni; proprio per questo però può essere considerato limitante e svalutante, una condanna al destino animale.

Sarà dunque esaltato il corpo “civile” che supera e domina la natura, in grado di affinare la sensibilità e acquisire potenza, è prodotto dalla civiltà, fa la storia e vuol sopraffare le forze naturali, su misura per l’uomo moderno, reso più resistente dalle norme igieniche e dai composti chimici, alterato al punto giusto dal progresso e ricomposto dall’arte medica.

Più procede il cammino di questo corpo tecnologico, più lievita in parallelo il sogno di quello semplice, spontaneo, “come una volta”, cooperante e innocente, in armonia con l’ambiente e inserito nell’ordine del cosmo.

Le conoscenze scientifiche dovrebbero rassicurarci sulle possibilità di comprendere e padroneggiare ciò che del corpo sembra sfuggirci; nel medesimo tempo, proprio l’artificio e l’interventismo vengono temuti in quanto forzatura ed eccesso che prima o poi si pagheranno. Allora si vagheggia il ritorno alla natura, la riscoperta delle sensazioni fisiche autentiche, i piccoli piaceri sani contrapposti a quelli malsani.

Ambivalenza continua dei modi di vivere il corpo, fedele e infedele, amico e nemico. Un momento è ridotto in schiavitù, sottomesso e portato appresso in catene; un altro è selvaggio, impaziente e impetuoso, straripante di sensi e umori vitali. Possiamo essere “servi” di questo intransigente padrone, con piacere o rabbia, lusinga o paura.

Esso conserva segreti insondabili, improvvise incapacità e stanchezze quando necessitiamo di abilità e forza, insospettate malattie quando tutto pare andare per il meglio. Rinascite miracolose in stati disperanti, riserve insperate per imprese ritenute impossibili, il desiderio che rinasce dalle rovine della soddisfazione, l’intuizione fisica che stimola la creatività mentale.

Corpo che prepara riti di piacere o al contrario coltiva propositi di sofferenza, strumento e oggetto di possesso, oppure di soddisfazione venerazione. Può essere condizionato sino alla patologia da fantasie, timori e desideri, e può viceversa imporre comportamenti e modelli di vita. Oscilla di continuo tra piacere e dolore, l’abbandono passivo e la tenacia, la sudditanza alle regole e la sfida alla norma.

Non vogliamo accettare di essere ridotti a un corpo, ma non riusciamo neppure ad accettare di allontanarcene o disfarcene.

Mattia Morretta (1988)