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Fate la guerra nell'amore

Sesso e potere, attrazione e aggressività formano in genere un groviglio così complesso, che è quasi impossibile venirne a capo e stabilire quanto spetti all’uno e quanto all’altro elemento nei comportamenti umani.
Il desiderio si nutre spesso di fantasie violente, come del resto la violenza di ogni tipo risulta intrisa di componenti erotiche.

Alcuni ritengono la pulsione aggressivo-distruttiva innata (“istinto di morte” freudiano), altri sostengono che l’aggressività sia un prodotto della civiltà e in particolare della negazione sociale dell’eros.

Comunque sia, gli impulsi antisociali, gli istinti sadici o autodistruttivi costituiscono un patrimonio universale che non conosce eccezioni, per quanto il sadomasochismo vero e proprio coinvolga solo un certo numero di individui.

L’aggressività (dal latino ad, verso, gredi, andar incontro) è intrinseca a ogni manifestazione vitale: un mezzo indispensabile per la sopravvivenza e la soddisfazione dei bisogni fondamentali, compresa la sessualità.

La società ha certo un ruolo importante nell’amplificazione di tendenze distruttive e nella genesi di molti bisogni che trovano sfogo nella violenza. Tuttavia, nello sviluppo psichico di ogni persona sessualità e aggressività si trovano sempre accoppiate. Come esiste una storia evolutiva della libido, così esiste una parallela storia evolutiva dell’aggressività.

La psicoanalisi riconosce in ciascuno una profonda ambivalenza verso gli oggetti: dove c’è l’amore, c’è anche l’odio. Lo psicoanalista G. Groddeck diceva, infatti, che “chi sa interpretare l’inconscio non crede più all’onnipotenza dell’amore, ma capisce che anche l’odio è altrettanto potente”.
E’ stato anche detto che l’omicidio è, in ultima analisi, solo il simbolo di una passione amorosa rimossa.

Fin dall’infanzia il piacere si mescola al dolore e all’angoscia, anche per intervento della punizione e della proibizione. Il bambino si crea oscure rappresentazioni degli scambi sessuali fra i genitori, come pure della nascita e della differenza sessuale. Se assiste al coito, tende a interpretarlo quale aggressione del padre nei confronti della madre.

Il senso di colpa per la masturbazione e per i desideri incestuosi gli fa temere che la stessa erezione sia per certi versi sempre accompagnata dal pericolo della castrazione. L’ansia e la paura tenderanno perciò a inquinare tutte le più grandi gioie.

Nell’ideologia del riserbo e dell’autocontrollo anche l’apice della voluttà dei sensi nell’orgasmo finisce per essere avvertito come morte, dissoluzione, perdita irreparabile dell’identità.

Particolari esperienze infantili e una certa vulnerabilità individuale possono avere conseguenze anche drammatiche in relazione all’associazione fra sessualità e violenza.
Esemplari i casi di cosiddette “ninfomani”, incapaci di raggiungere la piena soddisfazione pur accoppiandosi con disparati individui, sovente dedite a pratiche autoerotiche di fatto autolesionistiche (vedi oggetti taglianti o pericolosi).

La rottura dell’armonia degli istinti è sempre potenzialmente pericolosa, poiché le componenti erotiche non riescono più a frenare l’aggressività che può sfociare nella follia distruttiva.

A un livello più quotidiano, molti dei nostri comportamenti manifestano lo stretto legame fra eros e aggressività. Il gioco della lotta e gli scherzi aggressivi servono spesso a mascherare il bisogno di contatto fisico. Se fare una carezza a un amico crea imbarazzo, a causa della coloritura sessuale e dell’inibizione morale, si finge uno pseudo attacco, come afferrarlo per il collo scherzosamente.

Mirabile, a questo proposito, l’esemplificazione dell’identità fra il desiderio e l’aggressione nella nota scena del film Donne in amore di Ken Russel in cui i due protagonisti maschili si affrontano in una lotta che la ripresa al rallentatore tramuta in un amplesso.

Se un atto violento può dunque manifestare in maniera deformata una tendenza erotica, è anche vero il contrario: l’atto sessuale può essere utilizzato, in modo brutale, come rivendicazione nei confronti dell’autorità, affermazione egoistica e compensazione di sentimenti di inferiorità.

D’altra parte, l’atto della penetrazione si presta all'utilizzazione in chiave di potere, essendo una sorta di effrazione, una violazione del corpo e dell’intimità altrui. Una certa conflittualità fra partner viene reputata facilitante per esaltare la "battaglia" amorosa.>/p>

E’ interessante ricordare che gli studi sugli animali rivelano come il sesso sia spesso utilizzato come mezzo per assicurarsi salva la vita e per ridurre l’aggressività dei “nemici”.

Solo chi conosce gli alti e bassi della passione e dell’odio può essere in grado di equilibrare le forze in gioco. Chi conosce i propri limiti e i limiti dell’amore conosce anche le proprie risorse e può così rendere più vitale il rapporto.

Gli erotici furori

E’ molto frequente riscontrare nella donna, non solo a livello di fantasia, il bisogno di essere costretta a cedere nel rapporto sessuale dopo aver lottato e resistito all’attacco. Alcune tendono a giocare alla prostituta per soddisfare un’esigenza di umiliazione tinta di erotismo.

La pressione morale si fa sentire in modo massiccio nel vissuto erotico femminile, intriso di paura, vergogna, senso di colpa e angoscia; al punto che in qualche modo si potrebbe dire che la donna “non vuole mai” e, se potesse, eviterebbe volentieri l’odiosa associazione sessuale con l’uomo, una maledetta faccenda ufficiale

Il giudizio negativo sulla sessualità femminile, che la donna sente ribadire in forme diverse sin dalla prima infanzia, la condiziona profondamente e, pur se riesce a superarlo, basta a renderla ansiosa e ambivalente rispetto al sesso.
Si sente infatti costretta a dissimulare, a non parlare mai con sincerità delle sue sensazioni poiché le hanno insegnato che per la donna è un “dovere” non desiderare la sessualità.

A parere di Freud, la donna non riesce più a sciogliere il nesso fra divieto e sessualità, tanto che diviene frigida quando le viene concesso di vivere ciò che ha dovuto a lungo negare a se stessa e addirittura sentire come estraneo alla propria natura.

Gli attacchi convulsivi isterici dell’epoca vittoriana venivano appunto interpretati come travestimenti di azioni erotiche, in cui si ricorreva alla perdita della coscienza per procurarsi sensazioni voluttuose.

Nella donna è più frequente l’angoscia sessuale, come paura dell’eccitazione e dell’orgasmo da parte di un Io estraniato dall’esperienza del piacere, che blocca quindi l’eccitazione orgasmica.

Timore di finire sotto il potere dell’uomo, di essere ferita o fatta scoppiare internamente da lui: sono emozioni in cui si manifestano anche forti impulsi distruttivi che costringono a un’ulteriore difesa. Occorre stare in guardia, non perdere la testa, poiché se ci si lascia trasportare si può eccedere, in senso erotico e aggressivo, data la forza dell’ostilità repressa.

In alcuni casi, una caratterizzazione masochistica porta la donna a non poter compiere l’atto sessuale se non è accompagnato dalla fantasia di essere sedotta e violentata: l’uomo deve costringerla a fare ciò che essa desidera con profonda paura non potendo farlo da sola perché è “proibito”.

In pratica, non essendo in grado di raggiungere il piacere in modo attivo e autonomo, si attende che la liberazione avvenga dall’esterno da parte dell’uomo. Si realizza una situazione in cui si desidera profondamente raggiungere il soddisfacimento “contro la propria volontà”; poiché ciò che desidera è anche ciò che teme, la soluzione non può provenire da un altro, sotto forma di punizione, tortura, violenza.

Se la fiducia in se stessa è profondamente intaccata, i desideri di vendetta crescono e allora la “provocazione” dell’aggressione serve anche a mettere in cattiva luce l’altro: è lui che fa il male o ne è la causa, è lui ad essere crudele!

Per timore di subire una punizione a causa della ricerca diretta del piacere, la donna può finire addirittura con l’esporsi intenzionalmente alla sofferenza, preparando la propria umiliazione per non venirne colta alla sprovvista. In una situazione di questo genere, il ruolo della donna è passivo e il piacere è esclusivamente masochistico, mentre quello del maschio viene ridotto al solo sadismo. Attraverso l’uomo la donna vive però anche la propria aggressività.

Una "vecchia" teoria psicoanalitica ritiene che il sentimento di inferiorità, conseguente all’invidia del pene e alla squalificazione sociale, determini una notevole ostilità nei confronti del maschio, al quale si sogna di sottrarre il fallo per compensare così la propria “mancanza”. La sottomissione al maschio viene accettata per tentare di valorizzarsi, ma sarà inevitabile un senso di umiliazione e forse anche un bisogno di essa.

Un certo rifiuto e una certa ritrosia nei confronti del maschio sono anche da ascrivere al fatto che l’uomo è in qualche modo solo un surrogato dell’oggetto paterno cui la bambina si era rivolta nell’infanzia.

L’inimicizia verso il maschio ha una base ancor più profonda nel legame strettissimo della donna col mondo materno, che produce il desiderio di “resistere” e non lasciarsi prendere. Non si vuole tradire la madre. La Pamina del Flauto Magico di Mozart esclama infatti: “Madre per te io soffro, la tua maledizione m’insegue”.

La psichiatra C. Wolff precisa: “La madre è il primo amore della bambina. Può darsi che il padre sia il suo primo flirt, ma non può essere il suo secondo amore”.

Mattia Morretta
Testo originale: Fascicolo n.35 Enciclopedia Amare, Gruppo Editoriale Fabbri, 1986