La profilassi invertita
28 Novembre 2020
C’è (altra) vita sul pianeta
16 Febbraio 2021

L’educazione dei giovani
Approccio culturale alla prevenzione dell’Aids nelle Scuole Medie Superiori, Milano

Valutazione sui principali temi emersi

L'analisi generale dell'intervento consente di formulare alcune considerazioni e ipotesi interpretative.

Reazioni di difesa

Appaiono come scolpiti in rilievo gli atteggiamenti "estremi" del disinteresse totale e della vera e propria apprensione fobica riguardo al contagio da Hiv. Si delineano chiaramente le due estremizzazioni del vissuto di lontananza e di vicinanza dall'Aids, quali principali strategie di difesa dall'angoscia di fronte alla minaccia della malattia mortale.

A un polo si colloca l'indifferenza ostentata, talora venata di "superiorità", che situa l'Aids altrove, fuori dalla realtà e non solo di quella abituale (habitat). Il confronto con il rischio di contagio espone a tali livelli di ansietà da spingere il soggetto a risolvere radicalmente il problema rendendosi insensibile e disattivando il circuito associativo corrispondente: “non mi riguarda!”.

Si fa pulizia davanti alla propria casa spostando a distanza di sicurezza le fonti dell'inquietudine. Ciò porta alla localizzazione del "male" in luoghi, spazi e gruppi sociali particolari (categorie a rischio). Lo spostamento può mascherarsi anche da "interesse scientifico", celandosi dietro l'apparente lucida considerazione dell'Aids quale argomento di ricerca e di studio.

Al polo opposto si colloca il coinvolgimento "militante", in cui il rischio viene tenuto sotto controllo avendolo sempre sott’occhio. Il pericolo, più che vicino, è "dentro" e "addosso", preme ai confini dell’essere fisico. La fragilità e l'insicurezza amplificano il segnale di allarme, sicché la spia luminosa che avverte della presenza del nemico nel proprio territorio è sempre o quasi sempre accesa. Di conseguenza vengono messi in atto vari rituali di protezione ed esorcismo.

Altre persone si rassicurano idealizzando la capacità di controllo e di azione difensiva, circoscrivendo la minaccia alle circostanze in cui possono ritrovarsi vittime passive del caso o della criminalità e della malevolenza altrui (puntura accidentale con siringhe abbandonate, soccorso in caso di incidente automobilistico, aggressioni da parte di tossicodipendenti, ecc.).

C'è chi scivola verso il fatalismo o il terrore nel momento in cui l'attenzione viene posta su quel che non dipende da se stessi nella prevenzione, ipotesi che rinvia alla problematica esistenziale della responsabilità. Allora può prevalere la diffidenza generalizzata e costante che fa del mondo un luogo inospitale e violento e degli altri uomini solo delle minacce.

D'altra parte, la focalizzazione su quanto dipende da se stessi apre la strada alla paura o al rifiuto delle responsabilità, che è alla fine paura o rifiuto della libertà: essere soli e lucidamente di fronte alla possibilità di scegliere come usare il potere connesso al tatto di essere vivi. L'irresponsabilità a quel punto può apparire come una via di fuga o presentarsi sotto forma di ribellione nel tentativo di tacitare la coscienza.

C'è anche chi, più o meno scopertamente, è stimolato dall'idea di sperimentare la propria onnipotenza andando "verso" il rischio. La sfida funziona da eccitante, consente di misurare l'invulnerabilità, la persistenza e la resistenza dell'alone protettivo che avvolge magicamente il corpo (un corpo che non decade e non patisce). É un meccanismo noto, del resto, l'atteggiamento contro-fobico che porta, per reazione all'intensità della paura, ad andare incontro alla fonte dell'angoscia e del disagio, arrivando a godere della sensazione di "indipendenza" dalla paura, quindi di non esserne condizionati.

Uso della conoscenza

È frequente il ricorso all'alibi dell'informazione scientifica. Pur "sapendo" (avendo informazioni sufficienti) alcuni richiedono ulteriori elementi "scientifici" o specialistici. La qualità dell'intervento "tecnico" viene valutata sulla base del modello nozionistico e della dimostrazione di conoscenze aggiornate. Il problema viene tenuto sotto controllo grazie al trasferimento sul piano della razionalità: è solo questione di apprendere e immagazzinare dati, il resto verrà da sé.

Il positivismo scientista trova alimento e alleanza nella fede cieca nelle facoltà razionali, e quindi nel razionalismo. Il soggetto si conferma nella rappresentazione adeguata e competente di sé: "sono intelligente, so quel che devo sapere, tutto andrà bene e come voglio io". In qualche caso l'onnipotenza si manifesta attraverso una sorta di fanatismo razionalizzato.

Le informazioni vengono tenute "separate" dalle altre conoscenze e non poste in relazione con la vita vissuta. L'illusione di difendersi con l'informazione o l'accumulazione di elementi conoscitivi porta a ritenere superfluo il pensiero e consequenziale o automatica la scelta: non c'è bisogno di pensare o di fare scelte, al momento dato basterà seguire le istruzioni e schiacciare il pulsante "giusto".

D'altra parte, è interessante notare come al moltiplicarsi vertiginoso di opportunità di conoscenza corrisponda un decremento della motivazione a conoscere: così tante cose da sapere e così poca voglia di saperle! C'è chi ammette e riconosce l'utilità dell'informazione ma solo o soprattutto per "gli altri": sono gli altri ragazzi ad averne bisogno.
L'ignoranza e la difficoltà di agire in modo coerente con il bagaglio di conoscenze vengono attribuite ad altre persone, spostando fuori di sé il "difetto" o l'errore.

Aspettativa di sostegno

Molti si attendono condotte oneste e responsabili dagli altri, dando per scontato per sé (cioè come già acquisite) onestà e responsabilità e senza pensare di contraccambiare o contrattare lo scambio sul piano relazionale. Rifiutano di considerare la malevolenza o l'irresponsabilità altrui non per fede nella bontà della natura umana, bensì per egoismo: è più "comodo" concepire l'altro come succursale esterna di se stessi o attribuirgli attitudini benevole o di tutela ("l'altro deve trattarmi bene perché me lo aspetto e ne ho bisogno").

La richiesta e l'aspettativa di "appoggio" sono talora francamente esagerate e irrealistiche (infantilismo patente). Molti infatti si attendono "soluzioni" dall'esterno che evitino o alleggeriscano il peso del confronto con il reale. Perciò dietro le domande sulla prevenzione si evidenzia la richiesta di "regole" valide in assoluto, la ricetta per risolvere i problemi in modo semplice e facile ("se fai così, sei a posto!").

Azioni, emozioni, pensieri

Alcuni ragazzi vivono di "idealità" pur senza coltivare valori. Rifuggono dal confronto con la realtà nei suoi aspetti "materiali" (volgari o sgradevoli). Altri invece si appiattiscono sul pragmatismo: c'è solo quel che si vede e si tocca! Discutere su tematiche quali la fiducia e l'onestà nei rapporti umani pare loro inconcludente e inconsistente.

Ciò che "possiedono" è l'azione e l'emozione, il resto è "astrazione". L'ambito del pensiero e quello del vissuto sono connotati come terre incognite o scabrose in cui preferiscono non avventurarsi, essendone tuttavia profondamente condizionati in modo inconscio.

L'esperienza diretta è per molti l'unico patrimonio cui attingere per orientarsi nella giungla delle stimolazioni e delle pressioni esterne. Assai spesso sono esperienze più subite che vissute consapevolmente. Il livello elementare del vissuto e della coscienza si traduce in povertà di contenuto e di espressione linguistica. Il dialogo interiore e il pensiero come riflessione non vengono coltivati.

Formare opinioni personali, pensare con la propria testa, non assecondar e la corrente o la moda appaiono obiettivi irrealizzabili perché faticosi e in qualche modo anacronistici, destituiti di senso nell'attuale corsa all'apparenza in cui tutto vale per quel che sembra e non per quel che è. Sicché, tanti si ritrovano prigionieri di "stili" di vita irresponsabili mutuati direttamente da modelli propagandati dai mass media, senza sapere come liberarsi delle catene con cui hanno "scelto" di legarsi.

Consumo e desiderio

Risulta che un gran numero di giovani fa e possiede tante cose "superflue" o secondarie (a livello ricreativo, sportivo, artistico, ecc.), mancando poi dell'essenziale, sul piano della vita interiore e della vita di relazione. Si muore, così, di noia per quel "troppo" che serve a scongiurare l'incontro con il vuoto e con gli interrogativi di senso.

Il possesso ed il piacere "cronicizzati" disegnano un orizzonte piatto e portano ad una banalizzazione della sessualità. Più pericolosa ancora, però, è forse l'induzione di uno stato di "rilassamento" e di passività, un regime del comfort in cui tutto finisce per costare troppo se c'è bisogno di conquistarlo in modo personale. Si dipana un lungo elenco di condotte "additive" anche nella sessualità, in cui il consumo diviene modalità di difesa contro la paura di non saper desiderare e contro l'incapacità di tollerare l'attesa e la sospensione di fronte all'incognita del futuro.

Il desiderio presuppone una capacità di attendere che travalica l'oggetto per approdare alla creatività (differenziazione delle alternative di soddisfazione). La capacità di scegliere implica la capacità di rinunciare, quindi anche l'avere rappresenta un ambito morale. Molti giovani preferiscono guardarsi nello specchio per le allodole del piacere facile e a portata di mano, scambiando gli appetiti con gli interessi.

Sessualità

Tanti ragazzi restano sul piano del "bisogno" pur parlando in apparenza il linguaggio del desiderio, in quanto sono rassicurati dalla linearità e dalla meccanicità del sistema stimolo-risposta, causa-effetto, bisogno-soddisfazione. Il principio di piacere (appagamento garantito e costante) sembra sostituire anche nel sociale il principio di realtà.

La vita rischia di trasformarsi in un incubo più che in un sogno ad occhi aperti. Il cambiamento rispetto alla generazione precedente, nello stile di vita sessuale, è solo di superficie.

L'innalzamento dell'età del primo rapporto è solo questione di posticipazione del momento in cui si traducono in atto (nella sessualità) i bisogni della sfera erotica e affettiva e non corrisponde ad una "maturazione"; non c'è evoluzione di mentalità e di atteggiamento. I più sono abbarbicati al candore infantile per disconoscere l'avvenuto sviluppo (la differenziazione).

Insieme alla gestione della pulsione sessuale, rinviano il confronto con la realtà e la necessità di organizzare una strategia di insieme in senso esistenziale: qualcosa di più di una semplice difesa dalla forza della pulsione, che connota un livello infantile di struttura della personalità.

È la "psiche" che non sa seguire il corpo in tal caso, e manca l'idea stessa di un percorso temporale per coordinare emozioni-sentimenti-ragione nel divenire. I ragazzi si difendono dalla "temporalizzazione", dall'essere "gettati nel mondo" e fanno resistenza passiva contro ciò che può farli procedere loro malgrado verso la fine (la morte). Quindi fanno ancora finta nella sfera sessuale, quando ormai non resterebbe che correre ai ripari per salvare il salvabile (far sul serio per forza).

Essi avvertono il peso e il costo della sessualità come relazione, come reale dialettica soggetto-oggetto. In molti casi la sessualità appare, quando è praticata, sostitutiva della comunicazione: fare sesso è un modo per "conoscersi", o meglio sta al posto dello sviluppo della reciproca conoscenza.

È difficile rinvenire un vero interesse e una reale curiosità sessuale. La sessualità è esercitata ma non voluta. Dietro al sesso (come sotto il vestito) non c'è niente e la pratica rende superflua la ricerca dell’intimità. D'altra parte l'eccitazione è spesso usata per scaricare l’angoscia.

É raro constatare la consapevolezza che la vita sessuale abbia bisogno di essere scelta (pensata, capita, accettata e personalizzata) e non solo desiderata.

Vita sentimentale

Per diverso tempo le relazioni adolescenziali si strutturano come un ambito di ricerca, più o meno orientata, di una modalità soddisfacente e al contempo rassicurante di espressione delle esigenze sessuali ed affettive. Il riconoscimento dell'altro quale reale interlocutore e "soggetto" è una conquista piuttosto tardiva dello sviluppo e non è neppure, in verità, un esito garantito.

Gran parte dei rapporti e delle esperienze costituisce un "esperimento" in cui vengono messi in gioco problemi e bisogni per lo più inconsci e confusi. Il partner viene da alcuni usato come uno specchio fatato o oscuro, oppure come una sorta di colonia d'oltremare, ove è possibile proiettare parti "scisse" o controllare elementi senza pieno diritto di cittadinanza nella propria identità in formazione.

L'altro serve così per "fare le prove" e misurare il livello della propria accettabilità sul piano corporeo e su quello psicologico. Gli esperimenti sono spesso a senso unico e non finiti, avendo anche lo scopo di rinviare la definitiva separazione dal passato e dall'epoca "senza tempo" della fanciullezza prolungata.

Alcuni si prendono troppo sul serio e per poter accedere alle relazioni interpersonali pretendono garanzie e assicurazioni totali contro il rischio di delusione o di abbandono. Dall'appartenenza globale all'universo familiare l'individuo passa o vorrebbe passare all'appartenenza altrettanto globale al partner sentimentale (sotto forma di dedizione all'altro o di controllo sull'altro). Si tenta di evitare in tal modo la ferita del "passaggio" di fase e si cerca di farsi guidare passo passo nel percorso di iniziazione alla vita adulta.

Le coppie costituite da coetanei paiono sovente variazioni sul tema del mostro a due teste: la simbiosi consente la ricomposizione di due metà complementari o compensative, l'androgino bisessuato rivive e ristabilisce il senso di "integrità''. Ciascuno è, narcisisticamente, alter-ego del partner (cosiddetto narcisismo a due).

Il mondo e la realtà oggettiva sono esclusi in partenza; l'Aids pertanto o non esiste o è situato a distanze siderali. La coppia è concepita come una sorta di cassaforte inviolabile e quel che si vuole conta più di quel che accade o può accadere.

Le relazioni nel piccolo mondo (antico) delle frequentazioni familiari ed abituali sono rassicuranti e consolatorie; in esse paiono praticabili con successo l'onestà, la trasparenza, la fiducia cieca. L'allargamento del territorio e l'aumento di complessità della rete sociale, inevitabili col progredire dell'età, introducono variabili indipendenti e fanno perciò lievitare l'incertezza e la paura, come pure l'eccitazione e lo spirito d'avventura.

Chi si orienta verso partner più adulti, si trova a dover prendere in considerazione il carico di "impurità" e di "peso" associato a quella maturità o esperienza che fa dell'altro un oggetto affascinante. Il partner più "grande" si è infatti già compromesso con la vita e quindi può costituire una minaccia per lo stesso motivo che lo rende un potenziale maestro. Chi è più esperto è già impuro o non più puro. Il sapere della vita, in effetti, è riconoscimento della debolezza e della finitezza; il frutto del piacere è anche frutto del dolore; la sessualità introduce al cospetto della morte.

Molti si dibattono tra il desiderio di "affidarsi" ciecamente e la necessità di vigilare sull'altro. Il controllo del partner si assomma al controllo su se stessi, già tanto difficile. Le fantasie sessuali, d'altra parte, sono spesso caratterizzate da vissuti di rischio a causa della connotazione "esplosiva" delle eccitazioni emozionali e dei bisogni.

Il partner può essere rappresentato come il salvatore-liberatore che inaugura una stagione di pienezza, oppure come il seduttore che introduce nel mondo della mancanza e dell'infedeltà. I guadagni e le perdite dell'età adulta risaltano nella polarizzazione delle aspettative contrapposte .

Diventare adulti

La precarietà dell'identità e l'insicurezza portano a sviluppare un'intensa preoccupazione in associazione all'idea di agire i desideri sessuali. Si attendono conseguenze "catastrofiche" in seguito alle prime esperienze erotiche o di intimità, proprio perché vengono messi in gioco gli "istinti" e quindi la responsabilità personale.
É facile che l'adolescente si aspetti un danno o una punizione per la messa in atto di componenti "parziali" della personalità.

Si comprende allora come l'Aids possa concretizzare molti dei fantasmi della sessualità adolescenziale, e soprattutto come possa di-mostrare con la brutalità della malattia mortale l'impossibilità di pensare alla dimensione sessuale in termini di "prova" superficiale e senza conseguenze.

Le cicatrici emotive delle prime storie d'amore e di sesso diventano con l'Aids tragedie definitive, rendendo letterale il rischio di morire che è effettivamente in causa sul registro della psicologia del profondo, durante il passaggio dalla dipendenza dalle figure genitoriali alla conquista dell'autonomia e alla gestione della "dotazione" sessuale e generativa.

La preoccupazione relativa al "potenziale riproduttivo" è senz'altro prevalente tra i ragazzi eterosessuali rispetto alla paura di contrarre malattie sessualmente trasmesse. L'inquietudine riguardo alla acquisita capacità di generare e alla complessità del lavoro di separazione e connessione dei vari elementi costitutivi della sfera sessuale, assorbe gran parte dell'attenzione conscia e inconscia dell'adolescente.

La possibilità di adottare un atteggiamento consapevole e realistico di fronte all'Aids dipende perciò dalla quantità e dalla gravità dei problemi con cui il soggetto si presenta all'appuntamento con il debutto sessuale e sociale. In molti casi le difficoltà personali (in termini di auto-accettazione e sicurezza) risultano tante e tali da impedire di poter tenere conto anche dell'Aids nella organizzazione della vita di relazione.
La persona ha già troppi problemi per accettare di valutare, ragionevolmente, il rischio di contagio!

Per tanti ragazzi la prevenzione è un gioco di magia bianca: il pericolo e il male vengono mantenuti a distanza grazie alla forza di volontà (“non succede quel che non voglio che accada!”). Le buone intenzioni nel campo sentimentale "meritano" a chi le formula l'esito fortunato, cioè che tutto vada secondo i migliori auspici. L'onnipotenza del pensiero e della fantasia fa piazza pulita di ciò che disturba o dà fastidio.
La strada della vita affettiva e sessuale è quindi spianata o in discesa grazie al bulldozer della negazione.

La dimensione sessuale nei fatti conduce inevitabilmente al riconoscimento della necessità di perdere le aspettative infantili di "totalità" e di "perfezione" per accedere ed applicarsi alla parzialità e alla finitezza: si tratta di "diventare" uomini rinunciando a presumersi re o dei. Il rischio dell'Aids enfatizza anche il trauma di tale metamorfosi, facendo di ciascuno un comune mortale alle prese con la lotta per la sopravvivenza.

Contesto famigliare e sociale

Emerge a livello generale nell'esperienza dei ragazzi un sottofondo di "solitudine" a malapena dissimulato , nonostante l'esibizione di un'intensa vita sociale e l'usufruibilità di un gran numero di strumenti e canali di comunicazione. Intorno a loro si staglia un vuoto comunicativo e spesso anche relazionale, poiché molti rapporti con gli adulti sono soltanto ''rappresentazioni" o recite di un copione mistificatorio (tanta apparente facilità di dialogo per altrettanta povertà dì scambio!).

I genitori fingono di prendere e chiedere la parola su temi fondamentali, ma per lo più poi si limitano a proteggere e controllare i figli riducendo lo spazio per l'incertezza, che sola potrebbe aprire orizzonti e rimettere in gioco gli affetti in vista di una effettiva evoluzione sia dei genitori che dei figli. Pressoché assenti sono le figure di riferimento a livello sociale.

Il gruppo dei pari si rivela costituire una sorta di "riserva" in cui il confronto si limita alle "cose" e alla competizione per l'immagine o il potere. Vi regna una miseria comunicativa che gli adulti non riconoscono o si riducono ad interpretare in base ai luoghi comuni della sociologia spicciola. I giovani sono confinati nello spazio ritenuto "migliore" per loro e che invece rischia di bloccarne il processo evolutivo: tutti hanno lo stesso problema della mancanza di interlocutori credibili e motivati.

Nei Licei (specie il Liceo Classico) si avverte la presenza e la tutela del nucleo familiare. Il mondo (non in senso geografico) esterno al "marchio di famiglia" è sempre tendenzialmente pericoloso o squalificato. L'appartenenza viene ribadita con forza e risaltano con evidenza le fisionomie proprie dei retroterra socioculturali più elevati. Spessissimo sono le mura domestiche a offrire sussidi informativi di vario genere e livello.
In pratica, la famiglia rappresenta per molti "l'universo" o comunque la parte più rilevante e significativa di esso. L'esperienza autonoma di vita è circoscritta alla dinamica attiva nel territorio “familiare”.

Negli Istituti Professionali la famiglia, pur presente, non è l'unico punto di riferimento e appare più evidente la ricerca di referenti al di fuori dell'entourage parentale. Più esplicita è pure la domanda di sostegno per problematiche personali all'interno dell'istituzione scolastica.

I docenti, attraverso le descrizioni dei ragazzi, si rivelano legati mani e piedi alla didattica e poco propensi ad accogliere la richiesta di attenzione psicologica considerandola sbrigativamente "fuori programma". D'altra parte, coloro che si interessano delle vicissitudini degli studenti mostrano di appassionarsi autenticamente alle loro difficoltà ed inquietudini, al punto di soffrire per l'inadeguatezza e l'impotenza nel fornire un aiuto più consistente e competente.

Attitudine verso le persone con Hiv e Aids

Gli atteggiamenti verso le persone con Hiv/Aids vanno dall'indifferenza assoluta alla animosità, dalla razionalizzazione del rifiuto alla ideologizzazione della tolleranza. Pochi provano a mettersi nei panni di chi è malato, il che non sorprende dato lo status particolare dell'età e considerato il clima culturale sulla "malattia".
La solidarietà è comunque concepita come convincimento generico circa la "propria" umanità, oppure come attitudine sentimentale ad identificarsi con il debole.

Come sempre, la conoscenza diretta o indiretta di persone malate rende avvicinabile e in parte comprensibile una condizione che altrimenti sarebbe spogliata di vissuti umani. Non manca chi vorrebbe dare una mano o fare del volontariato nel campo dell'Aids.

Molti si sentono danneggiati o minacciati in ogni caso dalla presenza di persone sieropositive nella quotidianità. Poter riconoscere e identificare "i malati" rappresenta un'auspicata semplificazione del problema di gestione dell'ansia personale e delle incognite dei rapporti interpersonali.

L'aggressività lievita fino a prospettare misure punitive o coercitive quando si ipotizza di poter essere oggetto di contagio "intenzionale" da parte di Hiv positivi irresponsabili o criminali.

A chi è sieropositivo si chiede di astenersi dalla vita sessuale e di non coinvolgere, per quanto possibile, altri individui nel proprio dramma. L'idea di non essere informati, volontariamente, dello stato di sieropositività dell'ipotetico partner, e quindi di poter rischiare in quanto "all'oscuro", viene vissuto come un attentato anche nel caso del rispetto delle norme preventive.

Infatti, i più vorrebbero attraversare il "giardino" della sessualità in tutta tranquillità e quasi ad occhi chiusi, senza dover temere di cadere in una trappola o in una imboscata.

Conclusioni

Si può ritenere che la formula dell'intervento (la proposta di una discussione provocatoria rispetto ai luoghi comuni diffusi sull'Aids e sulla prevenzione) determini nell'insieme una risposta positiva, cioè venga accolta con sincero interesse da un buon numero di studenti e ne stimoli una partecipazione non di routine. Tuttavia, l'attivazione riguarda aree molto problematiche, associate a notevoli quote di angoscia e turbamento, ed è inevitabilmente fonte di "disturbo".
L'invito a riflettere e ad esprimere opinioni viene recepito da molti con diffidenza o indifferenza (più o meno apparente), da qualcuno quasi con sospetto.

In effetti, oggi porre domande ad "esperti" è diventato un rituale che rassicura e conferma ciascuno nel proprio ruolo e sapere. Si tratta sovente di una simulazione accettata per convenzione e in buona fede: chi chiede finge di voler conoscere quel che già sa o quel che presume dovrebbe avere interesse a conoscere, chi risponde finge di voler corrispondere e di avere davvero a cuore l'acculturazione dell'altro.

Porre interrogativi e chiedere informazioni sono del resto gesti molto più "passivi" e molto meno comunicativi di quanto sembri a prima vista. Inoltre, la gran parte degli interventi informativi mira a ribadire le modalità prevalenti e socialmente approvate di controllo sulle realtà e sui problemi, attraverso una lotta serrata (benché di fatto approssimativa e superficiale) contro la cosiddetta "ignoranza".

Al contrario, il dibattito sui significati e sulle tematiche esistenziali non porta alla definizione di "certezze"; anzi, per certi aspetti aumenta l'incertezza e valorizza la convivenza con essa, mantenendo aperte le domande e sospendendo un numero imprecisato di risposte.

Aiutare a discutere e a pensare si traduce in un invito ad un percorso in salita di cui non si intravvede neppure la fine (pur potendone precisare il fine). La fatica per l'operatore e per l'interlocutore è pertanto assicurata.

Ciò è del tutto in controtendenza rispetto alla "linea morbida" delle attuali strategie informative, che si premurano di presentare ogni argomento in modo seduttivo, gradevole e accattivante, e che vogliono evitare di indurre sensazioni "negative" nei destinatari dei messaggi. Tutti vengono così trattati come "pubblico" o "consumatori" e tutto diviene oggetto di vendita e consumo, ricorrendo all'uso di criteri di mercato per valutare sia la qualità della proposta sia l'efficacia della risposta.

Da tale punto di vista, un'iniziativa che attiva il pensiero insieme alle emozioni risulta "sgradita" in quanto provoca vissuti di scabrosità interiore, difficoltà ed impotenza. Non è possibile impedire che gli studenti sperimentino un certo grado di disagio e di dispiacere, focalizzando l'attenzione su problematiche ansiogene e fondamentali, e richiedendo al contempo una partecipazione attiva nell’analisi.

Ai ragazzi in sostanza si propone di lavorare e non di consumare informazioni o acquistare soluzioni a buon mercato. Alla preoccupazione e ai "cattivi pensieri" si tenta, però, di opporre un pensiero "positivo" e la fiducia nel valore della ricerca dell'autonomia del giudizio.

Permangono, com'è ovvio, tanti interrogativi e perplessità sulle modalità di attuazione del progetto. Un intervento più connotato in senso culturale (con apertura sulla dimensione antropologica) pare appropriato solo per gli studenti del Liceo Classico.
Negli Istituti in cui prevale una impostazione "scientifica" nella strategia di comprensione e di controllo del reale, in cui cioè la gran parte degli studenti usa la griglia di lettura scientifica per rassicurarsi e tenere a bada l'inquietudine, può risultare più adeguato un approccio conoscitivo e didattico quale ariete per introdurre la riflessione culturale, essendo maggiore il rischio di reazioni di rifiuto o di disconferma.
Negli Istituti tecnici e professionali sembra più efficace un lavoro sul piano della esperienza vissuta, in cui la cronaca delle vicissitudini sentimentali e sessuali si accompagna a valutazioni e commenti miranti ad incoraggiare la coscienza dei problemi e delle abitudini personali.

In tutti i casi e a tutti i giovani è importante trasmettere il senso della prospettiva valoriale della vita e dell'accettazione del cammino per diventare adulti, intendendo con ciò uomini responsabili e consapevoli ma pure creativi e capaci di opinioni autonome e coraggiose.

Mattia Morretta (1995)