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L’intelligenza dei fiori. Proust e il giardino interiore

• L’intelligenza dei fiori - Umbria Green Magazine

Cent’anni or sono, in un’epoca di grande fermento culturale, Proust, facendo eco alla voce degli araldi della teoria del terzo sesso (gli uraniani che prendevano il nome dalla Musa Urania, il celeste intelletto), in Sodoma e Gomorra parte dalla riproduzione dei fiori per leggere l’inversione sessuale nel grande libro dei fenomeni naturali, pur dichiarando di non avere “la minima pretesa scientifica di avvicinare certe leggi della botanica e quella che si chiama talvolta malamente l’omosessualità”.

Del resto Marcel, amante dei salotti nobiliari tanto da venir reputato a lungo scioccamente mondano, era figlio e fratello di medici, il padre aveva ottenuto la cattedra di Igiene all’Università di Parigi per il ruolo svolto durante l’epidemia di colera a Tolone nel 1885. Tutta la Recherche è attraversata da notazioni precise su patologie organiche e nervose, terapie e farmaci, sottolineando l’importanza delle malattie nello stimolare la ricerca e la tecnologia, l’influsso del clima e del mare sullo stato di salute.

Nel gennaio 1923, nel numero della Nouvelle Revue Française a lui dedicato a due mesi dalla morte, Jacques Rivière non a caso scrive che in futuro sarebbe apparso evidente il valore capitale delle sue scoperte nel campo dello spirito e del cuore umano, paragonabili a quelle di Keplero in astronomia, di Claude Bernard in fisiologia e di Auguste Comte nell’ermeneutica delle scienze.

In tale ottica la vituperata “razza dei sodomiti”, composta dai discendenti degli abitanti della biblica Sodoma, appare la manifestazione sul piano umano dell’autofecondazione in ambito floreale, con riferimento a L’Intelligence des fleurs di Maurice Maeterlinck del 1907 e agli assunti di Charles Robert Darwin. La fecondazione del fiore da sé stesso, senza mediazione di un insetto che trasferisce la “semenza” ad altro fiore, di fatto mitiga e compensa il pericolo di uno sviluppo smisurato, attenua lo slancio procreativo talora eccessivo, determina un giro di vite e una frenata per far rientrare i processi biologici nella norma, “come la sconfitta sopravviene per punire l’orgoglio, la fatica il piacere, e come il sonno riposa a sua volta dalla fatica”.

Se l’incrocio è il mezzo per garantire prosecuzione, trasmettendo alle generazioni successive maggior vigore e migliori caratteri adattativi, l’autofecondazione, che pure esita in de-generazione e sterilità, svolge una funzione essenziale e contribuisce allo scopo finale. Dunque, è l’intelligenza della Natura a operare, non un morbo o un fattore contingente.

Così, nell’incontro fortuito nel cortile del palazzo Guermantes tra il barone signor di Charlus e il farsettaio Jupien il copione è al contempo botanico e ornitologico, perché osservando con attenzione gli individui civilizzati si intravede il substrato animale (l’uomo-insetto, l’uomo-uccello, et cetera). Difatti, l’uno pare agire come il calabrone e l’altro come l’orchidea civettuola, ma altrettanto vale il paragone con esemplari di volatili maschio e femmina.

Un approccio che a distanza di decenni avrà in Henri Laborit il campione della biologia del comportamento sociale, ben rappresentata dal regista Alain Resnai nel film Mon oncle d’Amerique .

Non senza meraviglia, considerando la nostra attualità di luoghi comuni (la prima parte del volume è pubblicata nell’aprile 1921 e la seconda nell’aprile 1922), la descrizione della condizione dei sodomiti è efficace e articolata per il momento storico, benché parziale dal punto di vista delle tipologie focalizzandosi per lo più sull’invertito interessato al maschio “normale”. In effetti, lo stesso Proust si assimilava a una Andromeda legata a un sesso (invece che a un sasso).

Il suo atteggiamento è quasi da zoologo ed etnologo che valuta con imparzialità la specie sotto osservazione, la fa emergere e ne definisce i tratti distintivi, avvalorando l’esistenza di un’identità omosessuale e registrando la crescente aspirazione a riconoscersi e far gruppo, tanto da far parlare di internazionale bianca. D’altronde in Contre l’oscurité, comparso il 15 luglio 1896 sulla Revue Blanche, aveva contestato l’estetica simbolista: il poeta, se attraversa la notte, deve fungere da angelo delle tenebre, portare luce. Ironia della sorte, il 6 febbraio dell’anno seguente, per difendere il pubblico onore, affrontava in un duello con la pistola nella foresta di Meudon lo scrittore a sua volta omosessuale Jean Lorrain, autore sul Journal di maliziose allusioni sulla “natura” del suo rapporto con Lucien Daudet (figlio di Alphonse e fratello di Leon). Entrambi avevano poi sparato in aria, risolvendo con gusto scenografico un falso problema.

Va ricordato che proprio il grandioso scandalo scoppiato nel 1906 sul caso del principe Filippo Eulembourg, diplomatico e consigliere dell’imperatore di Germania Guglielmo II, ha contributo a diffondere l’uso del vocabolo homosexuel, al quale Proust preferiva l’obliquo e ironico tante mutuato da Balzac.

Afflitto dall’asma già da ragazzino (a dieci anni l’attacco rivelatore al rientro da una gita al Bois de Boulogne), “incredibilmente malato” dopo la morte della madre, tenuto a porre mille cautele nel contatto con gli allergeni, Marcel dedica pagine splendide a panorami e paesaggi, trattandoli con ogni riguardo a differenza degli uomini e in particolare dei dottori e professori universitari.

Alcuni brani sono straordinari affreschi che evocano i pittori più apprezzati, da Poussin agli impressionisti (le “mirabili ninfee” di Monet lo entusiasmavano), condensati nel personaggio ideale di Elstir, che nel romanzo fa posare per giorni un ragazzino nudo sulla spiaggia per coglierlo al primo albeggiare.

Un quadro di eccezionale intensità figura all’inizio della seconda parte di Sodoma e Gomorra , laddove il protagonista, passeggiando da solo in una strada di campagna, si trova d’improvviso di fronte a una piantagione di meli in piena fioritura a perdita d’occhio, uno spettacolo di un lusso inaudito, alberi con i piedi nel fango e in abito da ballo, come se un amatore di esotismo e di colori avesse creato artificialmente quella bellezza viva, tanto più commovente in quanto autentica nonostante l’effetto di arte raffinata.

Perché i più si limitano a lasciarsi avvolgere passivamente dallo scenario naturale quale cornice del vivere, mentre gli artisti e i poeti ne fanno ragione di vita, e per osservare e ritrarre un fiore lo trapiantano nel giardino interiore in cui sono “costretti” a restare. Nel capitolo successivo è la consapevolezza che peri e tamerici gli sopravviveranno a indurlo a lavorare di buona lena, rendendo fruttuoso il tempo che manca al rintoccare della campana dell’eterno riposo.

Se nella concezione estetica della natura si avverte l’influsso del filosofo americano Ralph Waldo Emerson, Proust, seguendo il maestro di formazione John Ruskin e il pensiero dello storico dell’arte Émile Mâle, da vero professeur de beauté (titolo di un suo articolo) era contrario ai restauri modernisti dei monumenti antichi, preferendoli se mai in rovina, per godere della “preziosa e inimitabile bellezza delle vecchie pietre”.

Non pare quindi strana la sua morte a cinquantun anni il 18 novembre 1922 per setticemia, estremo esito di una bronchite trascurata degenerata in polmonite. Nell’ultimo periodo aveva vietato a Céleste Albaret, cameriera, infermiera e scrivana, di avvertire il medico e ordinato di mettere alla porta chiunque cercasse di farlo curare, compreso il fratello. Dopo aver scritto la parola fine alla Recherche l’aveva chiamata per dirle: “Ora posso morire”.

“Dal suo piumaggio l’avevo giudicato di un’altra specie”

Mattia Morretta (giugno 2021)