Recensioni Presentazioni Questo matrimonio

Presentando il libro di un amico profeta
di Mario Anelli

De profundis clamavi. Dal profondo a te grido…

Mi piace presentare Questo matrimonio non s’ha da fare, il nuovo saggio di Mattia Morretta, partendo dall’inizio del salmo 130 diventato poi un’invocazione cattolica molto in auge fino a qualche decennio fa durante le celebrazioni per i defunti, ma usato anche da Oscar Wilde come titolo del suo testamento spirituale.

Dal profondo a te grido, due vocaboli che rendono adeguatamente qual è l’anima dell’opera. Profondo, e la profondità è una delle caratteristiche del pensiero di Mattia da sempre. Grido, un termine che amplifica la potenza della parola e conferisce una valenza profetica, perché, come dice Ceronetti nella sua traduzione (“dalle bassure t’invocherò Signore”), occorre mirare all’alto, e volare alto è un’altra delle caratteristiche fondanti del lavoro di Mattia.

Un testo che è espressione fiera di autonomia intellettuale, lucidità razionale, schiettezza, sagacia. Spiazzante perché disattende le aspettative, impegnativo perché contrasta la superficialità e la semplificazione imposte dai media e dalla politica.
All’asfissia dell’attualità oppone un respiro storico, uno sguardo che abbraccia l’antichità e il presente, inquadrando l’oggi nelle vicissitudini secolari. Più in generale è un appello all’umanità, nell’Occidente morente. Un atto di resistenza attiva alla disgregazione di un mondo trapassato eppure attivo nell’immaginario, sostenuto da un desiderio persino patetico di recupero ed emulazione dei migliori esempi di ieri. Per finire con l’elogio dell’amicizia e della collaborazione affettiva disinteressata.

Un’altra parola chiave è Identità. Sì, identità, proprio ora che sembra una battaglia persa, questo libro ne rivendica l’importanza, e in particolare di identità omosessuale. A cominciare dal verso di Federico Garcia Lorca che funge da epigrafe e sintesi del messaggio più intimo (Le stelle non hanno marito). A seguire le voci alte, che risuonano musicalmente tra le pagine, di moltissimi autori e artisti omosessuali (uomini e donne), per ricordare agli eterosessuali che vivono di rendita di quel patrimonio culturale e agli omosessuali che potrebbero e dovrebbero “formarsi” su figure guida.

Sicché, dopo aver analizzato con precisione e senza tentennamenti i luoghi comuni e le mistificazioni su coppia, sentimenti, famiglia, vengono contestati i vantati traguardi di parificazione di lesbiche e gay mediante le unioni civili e la genitorialità, status symbol in larga misura generati dalla reazione alla censura e dall’esclusione di un tempo.
Una perdita secca per una Paese come il nostro nel quale il matrimonio e la bisessualità sono stati e sono una “copertura” perfetta per l’omosessualità. Non avendo memoria e contenuti propri, sotto la pressione della società dei consumi, nel generale crollo delle identità (individuali e collettive), i gay contemporanei sono giunti alla caricatura e pantomima dell’eterosessualità, adottando in modo acritico i precari modelli relazionali di una disorientata maggioranza.

Verità scomode, forse troppa luce per la nostra ordinaria assuefazione alle tenebre. Ciò può spiegare come mai su questo e i precedenti lavori di Mattia prevalga il silenzio, soprattutto da parte degli omosessuali, e qui più che di silenzio dovremmo parlare di ostilità.

Una amica, Ida Magli, la più brillante antropologa italiana, mi chiedeva: “come mai io che mi spendo tanto per le donne, per la loro dignità e lo faccio per amore, non sono capita dalle donne e anzi mi sono ostili?”. Io mi domando la stessa cosa riguardo al rapporto tra Mattia e gli omosessuali, forse è il destino dei “grandi”: nessuno è profeta in patria.

Agosto 2019

Intervista a cura di Virginia Perini
Settimanale Vero, ottobre 2019

Una verità che per qualcuno potrebbe essere davvero spiazzante: il matrimonio non ha più senso? Sintesi estrema o verità?

Come dice la parola, matrimonio indica le garanzie formali per la madre (donna con figli), rispetto al patrimonio (uomo e suoi eredi), in una società divisa sino all’altro ieri per ambiti di competenza (maschi in campo sociale e femmine nel mondo domestico).

Perché l’istituto civico (e religioso) aveva e avrebbe lo scopo di regolare l’inter-dipendenza tra i due sessi, in termini di diritti e doveri e di tutela della prole, integrando il nuovo vincolo, col concorso delle famiglie di origine, nella più vasta collettività per il buon andamento generale.

Da almeno mezzo secolo lo scenario è radicalmente mutato: sposarsi e procreare sono passati da doveri a diritti eventuali, da impegno pubblico col passato (tradizione e comunità di appartenenza, “moglie e buoi dei paesi tuoi”) e col futuro (continuità tra generazioni, proiezione nell’avvenire sino all’immortalità) a contratto privato nel presente, addirittura l’oggi e il giorno per giorno.

Ciò ha comportato una svalutazione dell’unione matrimoniale procreativa con una perdita secca di significati e scopi, lasciando ai singoli la scelta di come gestire la sfera sessuale e amorosa, in assenza di forti motivazioni e a prescindere dalla capacità di assumere responsabilità. E ha fatto spazio a accoppiamenti “alternativi”, quali quelli tra gay e lesbiche, senza che da questo discenda un loro valore intrinseco.

Che cosa ha portato a questa inversione di rotta, visto che fino a qualche tempo fa (ancora oggi per qualcuno) matrimonio e famiglia sono gli unici obiettivi della vita?

A dire il vero, il processo è iniziato almeno un secolo fa, perché l’epoca moderna si caratterizza per la dis-unione, la riduzione del senso di appartenenza a una comunità e l’accento sull’individuo, il diritto a “essere se stessi” che ha dato la possibilità a un numero sempre maggiore di persone di seguire le proprie inclinazioni e preferenze, non rispondendo agli altri del proprio comportamento.

E la tecnologia ha portato alle estreme conseguenze questa dis-giunzione sganciando il sesso dalla procreazione, il feto dalla gravidanza, la gravidanza dalla maternità, il seno dal latte, la madre (e il padre) dal bambino, la moglie dal marito, il padre dalla madre, la maternità (e paternità) dalla genitorialità, la corporeità dalla sessualità e dagli affetti, e via elencando frammentazioni.

Al contempo i legami sono diventati approssimativi e aleatori, vissuti con leggerezza e incoscienza di “ragazzi”, sicché si generano e allevano con apparente disinvoltura figli di fatto trascurati a dispetto delle mille attenzioni e cure materiali.

Dunque la famiglia che fine fa in tutto questo?

In effetti, case regnanti a parte, gli unici clan parentali solidi e inossidabili sono quelli malavitosi (con feste di matrimoni in pompa magna e numerosa prole).

Per il resto, la massa di consumatori è stata “liberata” dai debiti nei confronti delle famiglie di origine e dei partner acquisiti per finire allo sbando seguendo sentimenti e voglie sessuali, potendo al massimo contare sui consigli per gli acquisti e gli “esperti” delle ricette per la vita a due o tre.

Purtroppo, la famiglia nucleare (due adulti e un bambino) è più innaturale di quella tradizionale e troppo limitativa per garantire ai suoi componenti un ambiente supportante in grado di stimolare l’autonomia e la maturazione dei piccoli.

Nel minuscolo aggregato a tre o quattro, come pure nelle famiglie sfilacciate e disordinate prodotte da separazioni a ripetizione, le inadeguatezze e le nevrosi dei genitori esondano non potendo contare su argini da parte del “prossimo”.

Inoltre, essendo il rapporto tra lui-lei e tra genitore-figlio a tu per tu, le delusioni e le ferite risultano più gravi e talora insuperabili non trovando compensazioni in altre relazioni significative nel sociale.

Come dobbiamo immaginare una ipotetica società del futuro in cui il matrimonio non esiste più? Come sarà strutturata?

Nella società perfetta, immaginata da Aldous Huxley negli anni Trenta del secolo scorso, l’ingegneria genetica stabilisce a priori la quantità e la tipologia di individui da produrre in provetta in funzione dei ruoli cui sono destinati, offrendo loro in cambio il godimento di un benessere materiale fornito da prodotti chimici, escludendo ogni interazione intima tra persone.

E il romanziere Edwar Morgan Forster negli stessi anni descrive in un futuro imprecisato un universo con al centro la Grande Macchina, che governa e determina atti e pensieri degli abitanti relegati in celle singole su aeronavi, inabilitati a qualsivoglia esperienza diretta (inclusi sesso e affettività).

Ci stiamo arrivando, perché tecnologia e intelligenza artificiale, incubatrici e provette, ibernazione e protesi, robot androidi e cloni, sembrano preludere a tante greggi di pecore dolly in sembianze umane.
Del resto, a New York da qualche tempo è di moda appendere alla parete, al posto del ritratto, la formula del proprio DNA incorniciata.

La tesi espressa nel libro è supportata statisticamente?

Non si tratta di dimostrare una tesi, bensì di tirare le somme, benché anche i dati statistici parlino chiaro, circa il continuo calo dei matrimoni (in crescita solo il business del wedding) e riduzione drastica della loro durata, prevalere di convivenze precarie e fallimentari, aumento di separazioni e divorzi conflittuali, un figlio in media per donna ed elevata età al parto (con alto rischio di patologie per la madre e il bambino), crollo della fertilità delle coppie, mercato dell’infanzia sotto forma di utero in affitto e adozioni pilotate, disturbi di identità e di personalità negli adolescenti.
Per non dire della guerra tra i sessi mal dissimulata dalle pari opportunità.

Tuttavia, se non sarà l’uomo a rinsavire, per fortuna ci penserà la Vita a offrire nuove opportunità, perché trova sempre strade alternative per sfruttare le prove ambientali a suo vantaggio.

E nell’essere umano non c’è soltanto egoismo, ma anche una goccia salvifica di altruismo, come ricorda Wisława Szymborska: “Ti ringrazio cuore mio: / non ciondoli, ti dai da fare / senza lusinghe, senza premi, / per innata diligenza”.