Gay e salute: questione di stile
6 Ottobre 2014
Problematiche delle persone con Hiv/Aids, Niguarda, 1989
6 Ottobre 2014

Aids e diversità sessuale
Testo originale "Dalla parte dei gay" pubblicato su Muggiò Oggi, Anno I. N.5, Giugno 1987
Relazione nel dibattito “Aids tra pregiudizi e informazione”, 7 Maggio 1987, Muggiò (MB),

Il diffondersi dell’Aids fra soggetti omosessuali all’inizio dell’epidemia ha contributo ad apporre una sorta di marchio di omosessualità alla malattia e a trascinare con sé una valanga di considerazioni e connotazioni morali. A tutt’oggi, infatti, la primitiva denominazione “GRUD” (Gay Related Immune Deficiency) risulta ancora la più efficace dal punto di vista semantico.

Le implicazioni emotive della tematica sessuale e comportamentale fanno dell’Aids un oggetto culturale in senso lato nel quale si incontrano biologia, psicologia, morale e costumi. Si pecca di superficialità, pertanto, quando si pretende di affrontare il problema con le armi (attualmente poco efficaci) della medicina e con gli strumenti dell’informazione di massa.

L’impegno sul versante medico sembra spesso rappresentare un esorcismo nei confronti degli aspetti psicologici e relazionali connaturati ad una patologia così carica di elementi immaginari e fantasmatici, grazie all’emblematico legame tra sessualità e morte.

Un’opera di educazione e prevenzione non può prescindere dalla considerazione e dalla valutazione attenta del contesto sociale ed umano in cui la malattia che si intende contrastare si sviluppa. Non può essere ritenuto accessorio o secondario l’insieme di reazioni che l’Aids suscita a livello psicologico, l’ambiente culturale che “riceve” la malattia contenendola, trasformandola, deformandola.

L’oscurantismo e l’ostracismo verso i soggetti “a rischio” ci hanno già edotti sul pericolo di far assumere all’Aids i caratteri di un’epidemia dell’intelletto malato, in cui atti, giudizi, atteggiamenti soccombono al carico emozionale facendo perdere l’occasione sia per una prevenzione ragionata sia per un’evoluzione della società civile.

Non si contano le prese di posizione, i (pre)giudizi e le proposte profilattiche: dal test obbligatorio per tutti i membri dei gruppi a rischio al marchio sui glutei dei sieropositivi, dalla castrazione chimica degli omosessuali al certificato d salute (dell’anima o del corpo?) per soggiornare in certi paesi.

Non manca chi, col pretesto di una vocazione ecologica, applica all’erotismo umano i criteri del seconda e contro-natura, facendo notare che non è poi così incomprensibile che proprio “i gay” siano colpiti (castigati) dall’Aids! Non ci si preoccupa della confusione tra omosessualità e coito anale, né si tien conto di millenni di storia.

Autorizzati dalla scienza del sentito dire e forti di una presuntuosa normalità, si sentenzia. Ahinoi, il massimalismo non ha preferenze di partito e si fa presto a spacciare per opinioni pettegolezzi da mercato.

Malgrado gli interpreti della volontà divina e i profeti laici dell’ultima ora, un virus non conosce morale e non seleziona le sue “vittime” in base all’orientamento sessuale. Tuttavia l’Aids mette alla prova le coscienze moderne e smaschera meschinità ed arretratezza di molti sedicenti pensatori.

L’Aids ha drammaticamente posto in rilievo quanto peso avesse la carenza di un’adeguata preparazione e di un atteggiamento obiettivo da parte della classe medica e della società in genere di fronte ai cittadini e pazienti omosessuali. Una vera e propria omissione culturale, per lo più dolosa e talora colposa.

Così è emersa, per esempio, l’esigenza di trovare collaborazione presso una “categoria” di persone di solito ignorata quale possibile punto di riferimento e sovente ritenuta “rischiosa” prima di diventare “a rischio”. Da più parti, in verità, negli ultimi anni erano state segnalate problematiche specifiche del rapporto tra operatori socio-sanitari e soggetti omosessuali, proprio in funzione della realizzazione di interventi preventivi nell’ambito delle malattie a trasmissione sessuale.

A livello generale poche modificazioni significative si erano verificate nel modo di affrontare la “questione gay”. L’Aids ha avuto il “merito” di rendere visibile e concreta l’esistenza di persone omosessuali, nei confronti delle quali la scienza ha dovuto assumere una posizione democratica in quanto i pazienti non possono essere discriminati o giudicati (ben magra consolazione).

Il messaggio informativo ha fatto ricorso ad un linguaggio esplicito sulle pratiche sessuali che sarebbe stato impossibile solo pochi anni fa. Eppure, non si può certo ignorare il clima di disapprovazione etica e di disprezzo in cui si è svolto e si svolge il dibattito sull’Aids.

Molto semplicemente, non si può presumere che la mente del comune cittadino sia una tabula rasa a proposito delle tematiche sessuali. L’ignoranza sulla sessualità è ascrivibile non tanto ad una carenza di “sapere” quanto a una mancanza di “conoscenze”. L’implicito, ciò che si saper il solo fatto di appartenere ad una data cultura, è enorme in campo sessuale ed è in grado di inquinare qualunque discussione razionale su argomenti correlati al comportamento sessuale.

Si può credere perciò che le opinioni e i sentimenti collettivi siano irrilevanti ai fini della prevenzione dell’Aids? E basterà il fantomatico “aggiornamento” dei medici? No, inutile baloccarsi con simili illusioni. La dimensione emozionale della “peste” Aids richiede interventi paralleli su molti fronti e comporta una disponibilità a confrontarsi sui valori e disvalori della nostra società.

I gruppi di volontariato più attivi per l’Aids in tutto il mondo occidentale sono proprio quelli fondati e gestiti da gay, divenuti oramai punto di riferimento anche per la popolazione nel suo complesso e stimolo critico per le istituzioni sanitarie. Gli omosessuali, infatti, sono considerati “educabili” per la loro capacità di responsabilizzazione.

D’altra parte, l’omosessuale non è per il fatto di esserlo passibile di contrarre l’infezione da Hiv: la libertà di scelta, il tipo di pratiche sessuali, l’adozione di precauzioni, rappresentano realtà fattive e proponibili si larga scala grazie ai canali di comunicazione specifici. La società deve favorire questo processo di trasformazione e non approfittare dell’aids per riabilitare interpretazioni medioevali della sessualità o per dar libero corso all’intolleranza.

Sicché, il rispetto della specificità “antropologica” della persona omosessuale si configura come lo strumento più adeguato e corretto, dal punto di vista sia scientifico che etico, per far fronte ad una malattia nella quale in pericolo più grande è restare vittime dell’irrazionalità oltre che delle paure inconsce. Le iniziative preventive devono dunque poter veicolare anche il rispetto per la dignità umana e la comprensione sincera di quanti sono costretti ad una esistenza mutilata a causa della loro “diversità”.

È un lavoro ancora tutto da svolgere, ma in cui sono impegnati in prima persona gli stessi omosessuali.

Mattia Morretta (1987)