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Il giglio, la rosa e gli usignoli assassinati

L’amore e le lacrime in versi di Lorca e Pasolini

Un ideale dialogo e confronto tra Federico García Lorca, il poeta spagnolo più noto e letto di sempre, e Pier Paolo Pasolini, l’intellettuale più completo e influente del nostro Novecento, ambedue esponenti della genialità omosessuale ma con risvolti e significati molto diversi.

Grandi scrittori e bandiere nazionali, finiti tragicamente per mano altrui in periodi storici di torbida transizione, si sono impegnati per una cultura di respiro sociale e una pedagogia del popolo, hanno saputo manifestare straordinario eclettismo e molteplici talenti (pittura, musica, cinema, teatro), veicolando con stili differenti analoghi messaggi simbolici (il fiore nel fango e la croce nel deserto, il prezzo ineludibile della diversità, l'ansia della fertilità creativa nell'angustia della sterilità, la solitudine alta e assoluta del soggetto a sé stante).

Tuttavia, Federico era stella senza marito, giglio sbocciato tra le ortiche, con un cuore di farfalla o cicala desideroso di corrispondenze amorose; Pier Paolo era principe senza compagno, biancospino e porcospino, corpo aggiogato al ventre, animo di cane randagio o lupo.

Ambedue fanciulleschi, lo spagnolo con la strategia del sorriso, della simpatia e dell'affabilità, per conservare magia di luce e linearità letteraria, delicatezza e purezza lirica; l’italiano con cipiglio polemico e spirito oppositivo, per diventare emblema dell’ombra e del rimosso, compromettendosi con l'uso difensivo e offensivo dei versi.

Se per Lorca l’artista non doveva farsi contagiare dalla politica di parte, avendo il mandato di esprimere il mondo interiore, Pasolini era fatalmente attratto dal mondo esterno, con un’urgenza di concretezza che lo trascinava nella corrente della società e della militanza partitica.

L’uno paventava l’impossibilità di investire il potenziale amoroso e combatteva nel suo intimo un duello con la fisiologia della passione, ma intanto dedicava le migliori risorse alle relazioni amicali con figure del proprio ambiente culturale; l’altro professava il culto della sessualità irrazionale e si faceva carico dei fantasmi della carne esponendola a continui pericoli e tentazioni, disperdendo energie preziose nelle zone di frontiera abitate da un'anagrafe cafona senza voce.

Il primo ha tentato di proteggere la vita privata dalla morbosa curiosità associata alla fama, per evitare la volgarità delle lingue velenose e non subire un etichettamento svilente; il secondo ha esordito in gioventù con uno scandalo e ha recitato, volente e nolente, sino in fondo il ruolo della vittima eccellente sul palcoscenico del pubblico ludibrio.

Li accomunava l’affezione alle madri (in entrambi i casi maestre), la nostalgia per il passato, il mondo contadino e la religiosità spontanea, la ricerca linguistica e la rivalutazione degli idiomi dialettali, il fascino per la virilità naturale, l’attitudine al pianto elegiaco, l’estrema sensibilità alla perdita e alla precarietà dell’esistenza sotto la costante minaccia della morte.

E sono stati assassinati perché sapevano cantare poeticamente come usignoli, suscitando invidie e gelosie degli animali da cortile senza ali e dei cacciatori forti solo della loro capacità di ridursi a bruti.

Lorca, La casida de la rosa (Diván del Tamarit, 1935)

La rosa
non cercava l’aurora:
quasi eterna sul suo ramo,
cercava altra cosa.

La rosa
non cercava né scienza né ombra:
confine di carne e sogno,
cercava altra cosa.

La rosa
non cercava la rosa.
Immobile per il cielo
cercava altra cosa.

Lorca, Il poeta dice la verità (Sonetti dell’amor oscuro, 1935-36)

Quiero llorar mi pena y te lo digo
para que tú me quieras y me llores
en un anochecer de ruiseñores
con un puñal, con besos y contigo...

Voglio dirti che la mia pena piango
perché ad amarmi e piangermi tu provi
su un imbrunire tardo di usignoli
con un pugnale, e i baci, fianco a fianco.

Quel che non mi dai e non ti chiedo
sarà per la morte, che non lascia
neppure l’ombra alla carne che trema.

Pasolini, Progetto di opere future (Poesia in forma di rosa, 1961-64)

Ah oscure
tortuosità che spingono
a “un destino di opposizione”!
Ma non c’è alternativa alle mie opere future.

Opposizione di chi non può
essere amato da nessuno, e nessuno può amare, e pone
quindi il suo amore come un no
prestabilito, esercizio del dovere
politico come esercizio di ragione.

Infine, ah lo so,
mai, nella mia malridotta passione,
mai fui tanto cadavere come ora
che riprendo in mano le mie tabulae presentiae.

Pasolini, Carne e cielo (L’usignolo della Chiesa Cattolica, 1958)

Snervato da pianti
ben soavi rincaso
con le carni brucianti
di splendidi sorrisi.

E impazzisco nel cuore
della notte feriale
dopo mille notti
di questo impuro ardore.

Mattia Morretta