Aids. Ritorno al passato, 1994
6 Ottobre 2014
Da uomo a omo, Conversazione con Claudio Risé, 1998
6 Ottobre 2014

La nostra morale

Per finirla con la retorica sull’Aids, per non subire la morale dei cattolici e il consumismo imperante è necessario ricominciare a pensare per costruire una nostra morale; per farlo dobbiamo però guardare in faccia la realtà.

Trovo intollerabile la retorica ormai invalsa nella “lotta contro l’Aids”. Purtroppo “prevenzione” e “informazione” sono le parole d’ordine preferite dalle Armate degli attivisti gay senza scrupoli e altrettanto privi di idee e di opinioni.

Fare prevenzione secondo il rituale consolatorio dei Progressisti equivale a ripetere un certo numero di volte il termine “preservativo”, e nei momenti liberi organizzarne la distribuzione gratuita.
Confutarne la sicurezza ricorrendo alla scienza o alla metafisica è, d’altro canto, la litania monotona dei Conservatori cattolici.

È degno di nota che gli esponenti dei gruppi di credenti omosessuali non amino rilasciare dichiarazioni in proposito, neppure in favore della castità! L’Aids non è ancora “arrivato” tra loro, e non ne discutono perché molto semplicemente non si occupano delle cose di questo mondo, nonostante alcuni pratichino con non chalance il sesso insicuro su questa terra.

I cristiani gay si collocano in un’epoca pre-Aids in modo molto plateale, ma solo perché sono di solito più ingenui dei colleghi non credenti, che se ne disinteressano in maniera più raffinata: «Parlarne sempre, non pensarci mai», in base alla massima di T.W Adorno. Sull’argomento viene incoraggiata solo la parola, non il pensiero.

Ci si sforza di rendere il confronto con l’Aids facile, il meno problematico possibile. Si mira a ridurre al minimo la discontinuità col passato di “libertà” sessuale e col futuro di “diritto al consumo”, cioè di legittimazione attraverso il potere di acquistare e consumare la cosiddetta “particolarità” gay!

L’omosessuale medio moderno non vuol sembrare meno felice e spensierato della controparte etero, aborre che lo si pensi preoccupato e con in testa brutti pensieri, anche a costo di perdere lo spessore umano è intento a rifiutare a piene mani lo stigma.

Ritiene di aver diritto al benessere e vuole affermarsi quale consumatore di piacere contro il pregiudizio che lo vorrebbe schiacciato dal peso dell’inferiorità, votato all’infelicità, alla vergogna, vittima predestinata dell’Aids.

Il Movimento gay non scioglie l’ambiguità circa i modelli di realizzazione omosessuale, appiattendosi sulla logica del mercato. I bisogni finiscono per coincidere e dipendere dagli interessi commerciali, vivere l’omosessualità solo un’altra maniera di fare la spesa consumando la specificità sessuale e sentimentale nei supermercati del godimento.

Gli stessi Circoli si orientano verso la soddisfazione di appetiti abdicando alla funzione di promozione di interessi e sostegno della volontà di azione civica.
La domanda prevalente è: “Di cosa hai voglia?”. Il ghetto gay risulta così il migliore dei mondi possibili per chi è interessato solo a divertirsi, esibirsi, provare sensazioni, fare sesso e qualche volta commuoversi per i caduti dell’Aids mettendo bene in vista i fiocchetti rossi della solidarietà prezzolata.

L’assoluta mancanza di regole ed eticità nelle transazioni tra omosessuali è il problema più drammatico. Con l’alibi del bisogno di giocare e dell’esigenza di risarcirsi per le frustrazioni patite nel mondo esterno, entro gli spazi fisici e mentali dei rapporti tra gay si finisce per dare il peggio di sé, essendo il meglio già devoluto alla società, al limite si selezionerà un “compagno” per far mostra di valorizzare l’affettività e imporsi “in coppia” agli altri intesi come astanti e distanti.

Nei locali gay è raro incontrare esseri umani, lo stesso corpo e il piacere vi vengono vilipesi senza ritegno, impera la barbarie dell’individualismo più cieco ed antisociale, la frenesia pseudoerotica di chi non prova desiderio e la ritrosia pseudoetica di chi non ha un’identità solida.
Vi si aggirano individui prigionieri del tappeto delle cose, un’umanità precosciente che, per quanto si sforzi, non riesce a dissimulare il trauma del peccato originario dell’invidia.

L’ambiente gay resta troppo spesso luogo di umiliazione esistenziale e degrado morale, nonostante i disperati tentativi di coprire il giogo edonistico con mascherate brillanti e parate eccitanti.
Un ambiente dove la sregolatezza viene scambiata per allegria, la morbosità per curiosità e il cinismo per intelligenza.

Dobbiamo riconoscere la malattia (non la patologia) di cui siamo portatori. Siamo tutti malati e bisognosi di cure! E come potrebbe essere altrimenti?
Siamo coperti di cicatrici e ferite che noi per primi sviliamo e amplifichiamo negandole.

La sofferenza autentica è dignitosa e promette, se accolta, un cambiamento.
Partiamo da qui. Perché anche “un viaggio di mille miglia comincia da sotto i piedi” (Lao-Tzu, Il libro del Tao).

Mattia Morretta
L'ultima pagina
Babilonia n. 142, Marzo 1996