L’identità e il senso nella vita con l’Aids
24 Marzo 2015
Sessuomania
18 Aprile 2015

Il cesso degli angeli
Graffiti sessuali sui muri di una metropoli
Gamma Libri, Milano 1979

CAPITOLO VII - La solitudine

In un periodo in cui socializzazione e collettivizzazione sembrano essere la regola, tra dibattiti, confidenze, radio libere che fanno della partecipazione un fatto generalizzato, l’angoscia di poche frasi sull’incomunicabilità è sufficiente per smascherare il carattere abnorme della socialità.

Proprio sul terreno della solitudine si sviluppa l’industria della comunicazione. La gente si aggrappa a qualunque cosa per compensare il senso di vuoto e isolamento: scrive al redattore del giornale, si rivolge al padre confessore, telefona ala radio, partecipa ai quiz, scrive sui muri.

La questione spinosa della solitudine, infatti, non è presente solo laddove viene espressa chiaramente, bensì anche nei discorsi futili fatti sul tram, nelle riunioni politiche, le battute e gli scherzi, la violenza privata e terroristica, tra le righe dell’ostentazione machista della forza, dietro le richieste esasperate di sesso, nella penna di chi scrive un libro, negli slogan delle manifestazioni, oltre le facce sorridenti e di circostanza, nell’omosessuale che “batte” e nella casalinga nevrotica.

Nei graffiti sessuali traspare l’angoscia di vivere una vita senza senso, priva di soddisfazione soprattutto dal punto di vista affettivo e sessuale; un’angoscia che non viene scalfita dalle attività sociali, dalle amicizie cameratesche e dall’attivismo erotico.

Abbiamo a che fare con la “mancanza di contatto” di cui parla Reich. Le corazze muscolari impediscono, conoscenza, comprensione, autenticità emotiva, amore sessuale, perché l’individuo è barricato in un’armatura che, se gli garantisce una difesa contro la frustrazione della realtà, gli impedisce pure la possibilità di spontaneità.

L'emozione (letteralmente: moto verso l’esterno) è sostituita dalla rimozione (moto di torsione all’interno). Non è soltanto un dato psicologico, poiché la rigidità e l’inavvicinabilità sono ancorate nell’organismo e nella fisiologia.
Basta ricordare che nessuno può essere toccato in determinate parti del corpo senza provocare violente reazioni di angoscia o nervosismo, ancor più semplicemente basta citare il solletico che esprime un aumento biopatico di eccitazione muscolare a scopo difensivo.

Con tali basi di isolamento psicofisico è impensabile che le persone possano sentirsi partecipi della propria e dell’altrui vita a livello profondo. Non rassegnati a questa “morte nella vita” cerchiamo contatti sostitutivi che gratifichino il bisogno di espansione, ma la razionalizzazione falsa e a posteriori delle scelte politiche, culturali o religiose rende ancor più difficile l’autorealizzazione.

Dice Reich: “Nell’appestato emozionale i motivi delle sue azioni sono regolarmente dissimulati: il motivo apparente non coincide mai con quello reale. Tuttavia, la farsa può durare a lungo ma non sempre, prima o poi avviene il crollo dell’esteriorità e compaiono le crisi esistenziali, la disgregazione, la tossicomania, il suicidio.

Scrive Hermann Hesse in Demian: “Gli uomini si rifugiano l’uno presso l’altro perché hanno paura l’uno dell’altro. Questi uomini che si associano così timidamente sono pieni di paura e cattiveria, non ce n’è uno che si fidi dell’altro” E ancora: “Questa vita in comune, che va dalla lega goliardica e dalla società corale fino agli stadi, è un’unione coattiva, derivante dalla paura e dall’imbarazzo”.

La letteratura e l’arte arrivano prima dell’analisi politica alla radice dei fenomeni umani. Chi mai parla dell’isolamento affettivo e sessuale? Quale programma di partito o organismo di lotta si preoccupa di scandagliare le emozioni che spingono gli individui ad agire o non agire?

La solitudine è un problema troppo poco politico per essere affrontato apertamente, allora lo si lascia gestire alle agenzie matrimoniali, agli annunci giornalistici, all’oratorio. Tutt’al più si lanciano inviti alla “partecipazione diretta” o si fa credere che basti abbracciare un’ideologia per veder risolti i problemi di relazione. Si sa, la lotta unisce, basta are un’occhiata ai “cordoni” dei manifestanti!

Sulla mediocrità dell’esistenza si sorvola, per certi politicanti la solitudine è dovuta solo alla mancanza di luoghi di aggregazione, servizi sociali, insufficiente impegno. La si considera una questione secondaria o marginale, un fenomeno sovrastrutturale. Una politica del genere è demagogia che vive delle frustrazioni umane, però può anche perire a causa di esse.

Al contrario, la solitudine è un problema politico perché vitale, è una malattia endemica il cui virus viene iniettato a partire dall’infanzia, quindi indissolubilmente legata all’insoddisfazione amorosa, all’incapacità di vivere rapporti intimi in armonia con l’esterno. Da tale punto di vista essa dipende dalla repressione e dalla castrazione delle potenzialità espressive del singolo.

La solitudine ha origine dalla scissione frustrante tra soggetto ed oggetto, con l’impossibilità di continuare ad identificarsi con il mondo avvertito come oppressivo o negatore. In seguito l’individuo cerca in modo fobico l’unione primaria, condizionato però dal disamore verso se stesso e dall’incapacità di riconoscersi negli altri.

Analizzando la sessualità infantile si scopre che è essenzialmente autoerotica. Il senso dell’Io attuale non è che un residuo debole di un sentimento universale e globale che afferma la connessione profonda tra Io e ambiente circostante.

La libido umana pur narcisistica tende ad un mondo da amare, un bisogno inconscio che spinge alla inquieta ricerca di un oggetto che possa soddisfare l’amore. Nel narcisismo primario il soggetto è unito ad un mondo di amore e piacere, nel quale l’amore per il Sé si confonde con quello per l’Altro. Poiché Narciso ha bisogno di uno specchio in cui riflettere la propria immagine, la libido porta dal soggetto all’oggetto.
Lo scopo dell’Eros allora è l’unione del soggetto con l’oggetto esterno.

La distorsione sociale del desiderio di amore-piacere e la conseguente inettitudine a costruire rapporti interpersonali qualitativi, non possono che condannare all’isolamento perpetuo, al “cor irrequietum” della teologia agostiniana.

L’uomo diviene “animal triste” per cause sociali che si concretizzano nella repressione esterna e nell’autorepressione dopo l’introiezione della negazione della sessualità.

Norman Brown nel libro La via contro la morte definisce la sublimazione una mortificazione del corpo e un confinamento della vita in cose prive di vita.
Il desiderio represso e condizionato in altra direzione conduce alla falsa sublimazione razionalistica, instaurando un “bisogno” che non può trovar soddisfazione, sia che segua la strada dell’eros platonico, nella quale gli oggetti vengono scelti in modo aggressivo (attraverso il possesso), sia la via dell’Agape, ove prevale il sacrificio di sé con inseparabile componente masochistica.

Lo stato di bisogno parte dal vissuto di insufficienza e fa agire in modo da colmare le deficienze per sentirsi sicuri e completi, al prezzo della dipendenza.
L’altruista ama spinto dalla rinuncia a se stesso, talora si detesta e tende a distruggersi assumendo la posa di colui che ama; in realtà, spesso disprezza la vita e la riempie di angosce e frustrazioni.

Nei rapporti comunemente e definiti d’amore emergono amarezza e mistificazione, ci si atteggia a partner o amanti, scaricando sugli altri la propria infelicità proprio per il rifiuto del piacere che parte da noi stessi.

L’amicizia, che può compensare tante carenze e può sospendere l’isolamento, non porta a ristabilire la pienezza, perché residua un vuoto sul piano della sessualità.

Coloro che maggiormente avvertono tali lacune vivendole con grave conflittualità sono le donne e gli omosessuali. Infatti la solitudine li riguarda in particolare in quanto rappresentanti di una condizione umana e sessuale di oppressione.

Per l’omosessuale le gratificazioni esistenziali sono immensamente inferiori a quelle di un eterosessuale, poiché è costretto a nascondersi o a lottare per la propria identità. Impossibilitato a condurre una vita normale manifestando il proprio desiderio e rinchiuso nel ghetto, egli è solo a tutti gli effetti, poiché neppure la condivisione con altri della condizione gli garantisce relazioni spontanee e libere.

Il senso di incompiutezza e di solitudine si acutizza nell’omosessuale perché alla menomazione sul piano dell’identità di persona si assommano l’emarginazione e la disgregazione sociale, uno stato di oggettivo isolamento.

Soluzioni interpersonali pur parziali restano deficitarie perché i rapporti che gli sono concessi sono gravati dal condizionamento antiomosessuale e dai sensi di colpa dovuti al rifiuto inconscio sia della propria natura sia dello specifico desiderio.

Non di meno la donna, negata come soggetto desiderante e individuo distinto, è impedita nel conseguimento dell’autonomia, sia dalla commercializzazione del corpo sia dalla dipendenza emozionale e psichica dall’uomo.

Le sue gratificazioni sociali e sessuali sono per lo più immaginarie o riflesse in specchi deformanti che pretendono di nascondere l’annullamento della personalità.

D’altra parte la sua sensibilità la porta a rilevare con lucidità l’alienazione dei legami in cui è coinvolta. Non a caso si è parlato di minoranza maggioritaria per definire il sesso femminile sul piano sociale.

Ugualmente marginali, gravati da contraddizioni, sono i vecchi e i cosiddetti “non garantiti”, i quali non possono che percepire in modo più pungente l’isolamento e la vacuità esistenziale.

A modo loro anche i bambini sono soli e incompresi, costretti a vivere in una società a misura delle follie conformistiche sradicate dall’essenza della vita.

La speranza dell’umanità intera sta proprio nella vitalità esuberante e spontanea dei “piccoli”, nel loro approccio al mondo in forma di gioco libidico.

L’ipoteca attuale sulla libertà futura sono tutti gli attuali “sottoposti” e “masochisti”.

Mattia Morretta (1979)