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Conseguenze dell'Hiv nella popolazione generale
La dimensione psicologica dell’AIDS, Tesi di Specializzazione in Psichiatria, 1987

Il Social Science Research Council di New York ha ipotizzato un carico di salute mentale prodotto dall’Aids equiparabile a quello determinato da altri tipi di stress socialmente indotti su larga scala, come quello della recessione.

Sono stati previsti aumento di suicidi, menomazioni nel funzionamento lavorativo con gravi perdite economiche e produttive per la comunità, e un vasto range di disordini psichiatrici collegati al grave stress.

Il dis-adattamento dei “normali”

Una quota di popolazione eterosessuale comune si trova coinvolta nel problema Aids in maniera indiretta, a cominciare dalle partner dei tossicodipendenti per via endovenosa.

Questa fascia tende ad aumentare nelle casistiche internazionali trascinando con sé gravi problemi connessi alla trasmissione del contagio durante la gravidanza al nascituro. I casi pediatrici sono in effetti numerosi laddove il fattore tossicodipendenza è più rappresentato (vedi l’Italia dove la percentuale di bambini affetti è maggiore di quella americana e di quella europea).

Le donne tossicodipendenti o ex tossicodipendenti sono sovente sieropositive, magari ignare di esserlo, e quindi involontariamente responsabili di gravidanze rischiose per i figli. Lo stesso accade per le donne che hanno relazioni con maschi dediti all’uso di sostanze.

A causa della forte prevalenza del sesso maschile fra i malati di Aids, le donne sono piuttosto trascurate come pubblico nelle campagne d'informazione. Inoltre, il fatto di parlare dei tossicodipendenti semplicemente come tali e non anche come eterosessuali (cosa che di fatto è nella quasi totalità dei casi), comporta equivoci in merito al reale pericolo esistente nelle relazioni sessuali intrattenute dagli stessi.

I loro partner di sesso opposto e in particolare le donne sono perciò esposti ad un alto rischio di contagio e ad uno sconvolgimento del loro assetto esistenziale, proprio a causa della minimizzazione o del mancato riconoscimento del problema.

Scoprire di essere sieropositivo per un rapporto vissuto in passato con un partner dedito all’uso di droghe è una esperienza molto dolorosa, che lascia sprovvisti di “ragioni” cui aggrapparsi per spiegarsi un destino crudele.

La frustrazione delle aspirazioni alla maternità, per via del rischio di trasmissione dell’infezione al bambino, e la mole di prevedibili difficoltà nella vita di relazione costringono la persona in un vicolo cieco che prima non aveva mai neppure immaginato.

Lo sgomento ed il trauma causati dalla sieropositività e dall’Aids nei soggetti non tossicodipendenti e non omo/bisessuali sembrano in effetti essere più gravi nelle loro conseguenze, nel senso di una minore capacità di adattamento.

Lo stesso discorso vale anche per quanti sono malati a causa di pratiche trasfusionali o in seguito all’uso di prodotti antiemofilici, nonché per i loro partner sessuali. Coinvolti loro malgrado nella stigmatizzazione sociale, che tende a fare di tutte le erbe un fascio, essi si percepiscono quali vittime “innocenti” di un destino assolutamente imprevedibile e imprevisto.

Il fatto di saper che il contagio nel loro caso poteva essere evitato, in modo molto più preciso che per le altre “categorie” di infetti, li rende particolarmente incapaci di accettare il loro stato. I bimbi colpiti vivono in condizioni evidentemente drammatiche e molti problemi sussistono per adozioni, cure, sistemazioni in ambiti del tutto inadatti, perdita di genitori, e via di seguito.
Occuparsi di un bambino sieropositivo non è cosa alla portata di chiunque, soprattutto per le implicazioni emotive del rapporto e per le conseguenze nell’entourage.

I genitori dei bambini sani possono ragionare fin quando non si sentono toccati da vicino dal problema, ma quando il loro figlio può essere a contatto con un bimbo sieropositivo ben difficilmente son disposti a riflettere. Le loro risposte emozionali sono spesso violentissime, come purtroppo hanno dimostrato episodi d'intolleranza e isteria collettiva nei casi di piccoli sieropositivi (o addirittura figli di sieropositivi) immessi in asili e scuole.

L’Aids come oggetto mediatico

La re-distribuzione del “pericolo-Aids” all’interno della società in seguito a massicce campagne di informazione, talora assai discutibili nei toni, ha aperto la strada a un allarmante dilagare di paure e disagio in certe fasce di popolazione.

Lo spazio dedicato all’Aids sui mezzi d'informazione e il varo di campagne istituzionali hanno determinato ondate d'interesse nel vasto pubblico con effetti molto spesso deleteri e indesiderabili.
La gestione approssimativa e a volte spettacolare delle notizie ha sollecitato apprensioni, timori e talora panico in molte persone incapaci di orientarsi nel bombardamento di dati e rivelazioni a catena.

Il bisogno di ottenere chiarimenti e precisazioni non ha trovato adeguate risposte nel servizio sanitario pubblico, proprio per il disorientamento e l’impreparazione delle autorità nel gestire tematiche sessuali e comportamentali così cariche emotivamente.

Al di là dei casi in cui l’Aids slatentizza conflitti psicologici preesistenti, un buon numero di disturbi mentali e di reazioni disadattive si contano fra soggetti pur non appartenenti ai tipici gruppi a rischio. Parecchi individui “normali” si trovano costretti a interrogarsi sul loro recente passato in ambito sessuale e spesso ne traggono conclusioni distorte e terrificanti.

Rapporti con prostitute, avventure extraconiugali, scappatelle erotiche con travestiti, contatti sessuali in località esotiche, rappresentano per alcuni motivo di preoccupazione passeggera, mentre per altri diventano ragione di vere profonde crisi esistenziali. Del resto, ciò che il soggetto non apprezza e non stima di sé o dei suoi atti facilmente alimenta la fiamma della paura e del “fascino” per l’Aids.

In effetti, si sbaglierebbe a ritenere frutto d'ignoranza e disinformazione tutti i quesiti fantasiosi, ingenui o paradossali, emersi in molti individui a proposito dell’eventualità del contagio. Ogni domanda ha un senso e una comprensibilità, se inserita nel contesto della vita e della personalità del soggetto che la esprime.

Tuttavia, si crea una notevole confusione fra la superficie scientifica degli interrogativi e il loro substrato emozionale, cui non riesce a dare risposta nessun dettaglio medico o tecnico.

Occorre dunque ben più della informazione, per quanto corretta, per aiutare le persone ad orientarsi rispetto al problema e per prevenire l’aggravamento di situazioni psicologiche conflittuali innescate dalla paura dell’Aids.
Il nodo rischia infatti di strangolare le persone più fragili o meno difese dal punto di vista psichico e quanti giungono a considerarsi “a rischio” per i motivi più vari e più squisitamente privati.

Infine, la più vasta area di preoccupazione riguardo alla prospettiva di salute mentale è costituita dalle implicazioni a lungo termine per tutto l’insieme d'individui che vivono durante “l’epoca dell’Aids”. Non possiamo ancora dire quale sarà la portata delle cicatrici emozionali prodotte dall’epidemia e dalle reazioni sociali a essa.

Certo è che quelle cicatrici rappresentano un fattore di vulnerabilità non solo duraturo, ma anche “trasmissibile” alle generazioni a venire. È questo un ambito in cui è difficile arrischiare previsioni, ma le ipotesi possibili sono tutt’altro che consolanti.

In questo senso, la fenomenologia sanitaria e sociale dell’Hiv è una vera sfida all’umanità che non può lasciare indifferenti. E non può non essere raccolta, perché ne va del nostro futuro.

Mattia Morretta (novembre 1987)