Aids e diversità sessuale, 1987
6 Ottobre 2014
Assistenza psicologica, USSL 44, Brescia, 1990
6 Ottobre 2014

Problematiche psicologiche delle persone sieropositive e con Aids in una prospettiva culturale

Corso “AIDS e Sindromi Correlate”, Ospedale di Niguarda Ca’ Granda, Milano, 24 maggio 1989

I soggetti sieropositivi seguiti presso i centri pubblici risultano avere spesso precedenti psichiatrici. Non si tratta quindi di un campione rappresentativo del problema sieropositività. La selezione dell’utenza è naturale: se esistono soltanto strutture psichiatriche o inserite in ambiti psichiatrici tradizionali, le persone che finiscono per affluirvi sono più probabilmente quelle con situazioni di bisogno antecedente e che comunque non si trovano in condizioni “normali”.
Il fatto che si verifichi una selezione in ragione della gravità dello stato psichico comporta che in termini generali non esista un vero servizio di assistenza psicologica per coloro che sono coinvolti.

Molte delle problematiche psicologiche delle persone sieropositive sono collegate al vissuto sociale dell’Aids e vanno considerate (nonché rese) una sorta di corpo estraneo invasivo e deturpante. Il disorientamento di chi risulta sieropositivo al test è non solo comprensibile, ma anche per certi aspetti inevitabile.
Nessuno oggigiorno potrebbe accogliere tale diagnosi senza shock, dato il carico sociale e simbolico associato all’Aids, poiché significa, anzitutto essere affetti dalla malattia che tutti temono e che nessuno vuole avere.

Tutta una collettività grava sui singoli per le responsabilità, le prescrizioni e le precauzioni, per le domande che la comunità pone all’Aids riguardo al proprio peccato e destino, coloro che dovrebbero sapere a cui non verrà detto, quelli che non devono sapere ma a cui si potrebbe dire, quelli che sanno e via dicendo.
Gli altri intorno e in senso lato la società costituiscono un fardello di cui non ci si può liberare neppure volendo quando si entra nel ruolo di soggetto sieropositivo.

Effettivamente non esiste alcuna condizione clinica né situazione esistenziale al momento paragonabile, neanche la pur grave e drammatica esperienza dei pazienti cui viene diagnosticata una forma neoplastica. Il peso sociale, morale e culturale in gioco nell’Aids è unico e spropositato per il singolo individuo.
Benché anche il cancro continui a conservare qualcosa di vergognoso, il deserto emozionale (come l’ha definito E. Kubler-Ross) che circonda i malati di Aids non trova riscontro.
Almeno la pietà non viene negata, in genere, ai malati di cancro. Certo non si assiste alle espressioni di disprezzo e alla colpevolizzazione di cui sono oggetto i pazienti con Aids e sieropositivi.

Tutto ciò rende particolarmente difficile l’adattamento alla sieropositività, poiché tende a farne una condizione “impossibile”, indesiderabile, inaccettabile e invivibile.

p> L’indesiderabilità in termini soggettivi è legata al fatto che pone in contatto con la possibilità concreta della morte, la propria morte, una rivelazione sempre “inattesa” anche quando la persona ci aveva pensato. Quel che viene messo in questione è talmente personale, così profondo, che non può essere evitato e superato con semplici strumenti conoscitivi.

La sieropositività assume i connotati di una sorta di sentenza giuridica: una condanna definitiva, con tutto quel che ne consegue, oltre alla morte, discriminazione, riprovazione sociale, vergogna.
Il soggetto si trova costretto a riassumere la sua esistenza in un termine equivoco e improprio, come se non fosse mai vissuto per altro e non fosse più una persona.

La profezia connessa alla diagnosi (malessere, sofferenza, decadimento e morte) conduce molti a cadere nelle braccia di una sorte di sventura, anche quando si trovano in stato di relativo benessere. Stare bene equivale quasi ad un tradimento delle aspettative altrui, perché la collettività e la comunità scientifica, purtroppo, sembrano volere la morte di quanti vengono descritti come predestinati; nonché un far venir meno dei presupposti del ruolo medico, essendo quest’ultimo quasi sempre medico della malattia e non della salute.

Siamo dinanzi ad un “rito”: alcune persone passano e vengono fatte passare attraverso un’esperienza specifica carica di significati universali in un preciso momento storico. In particolare, è la sperimentazione del confronto con la morte da tutti evitato e oggi “localizzato” nella sieropositività. I malati e i sieropositivi allora vivono un’esperienza che sarà utile per l’intera società cui appartengono.
Ciò significa portare sulle spalle un peso che non tutte le “vittime sacrificali” possono tollerare e da cui molte saranno schiacciate.

Tuttavia, coloro che sono in grado di sopportarlo l’avranno sopportato per tutti, tutti ne avranno guadagnato, compresa la civiltà nel suo complesso. Val la pena dunque accompagnare le persone sieropositive in questo percorso esistenziale straordinario.

Mattia Morretta