Il Collettivo le Meteore, 1979
6 Ottobre 2014
Festa dell’orgoglio omosessuale, 1981
6 Ottobre 2014

Recuperare la femminilità
Rivista Anarchica, N. 73, Aprile 1979

Il discorso sulla femminilità si inserisce nel progetto di edificazione di una nuova Umanità attraverso la ristrutturazione della personalità dell’individuo, coartata e limitata dalla repressione sociale.

I valori propri della persona non si scoprono con la speculazione metafisica o tramite un aprioristico rifiuto dell’attualità; in sostanza più che una creazione ex-novo si tratta di un recupero critico dei bisogni umani fondamentali.

Questo perché i ruoli sessuali e sociali, la cristallizzazione dei comportamenti, la codificazione di tutti gli aspetti psichici e fisici della personalità si basano sulla mutilazione delle potenzialità di ciascuno di noi.

Così, alla radice dei ruoli “maschile” e “femminile” sta la scissione della unitarietà sostanziale dell’essere. La frattura violenta del nucleo bio-psichico, omogeneo e similare nell’uomo e nella donna, ha portato ala fissazione degli atteggiamenti somatici e psicologici in due categorie distinte.

Esistono perciò storicamente due modalità differenti di porsi rispetto alla vita e ai rapporti, ambedue alienanti e riduttive, pur contenendo un fondamento positivo e necessario per la riscoperta della nostra umanità perduta.

Ad esempio, se l’aggressività cosiddetta maschile si realizza con sopraffazione e prevaricazione, è pur vero che la sua distruttività è frutto di una deformazione legata alla frustrazione e in potenza può essere intesa come mezzo per raggiungere la soddisfazione e il piacere, quindi per vivere, come sostiene W. Reich.

L’aggressività va rivista con occhio analitico per negarne gli effetti sadico distruttivi e recuperarla quale mezzo di tensione verso l’esterno nella ricerca dell’esperienza amorosa e nel cammino verso l’affermazione del proprio Io (mezzo di espressione del narcisismo primario positivo).

Similmente, la remissività masochistica delle donne è un prodotto della secolare “castrazione” e contiene in embrione l’originaria tendenza alla mitezza.
Si tratta di negare il ruolo e scoprire il terreno in cui affondare le radici.

La persona “rinnovata” non nasce dalla fusione indiscriminata dei due ruoli storici, ma origina dalla ricomposizione progressiva dei frammenti dispersi e fissati in forma sclerotizzata nelle categoria maschile e femminile.

Non ha senso perciò parlare di negazione assoluta dei ruoli e sbandierare l’esigenza di nuovi valori, perché il recupero di umanità può avvenire soltanto riscoprendo ciò che educazione e condizionamento ci hanno negato.

In una donna la componente più negata è quella cosiddetta maschile e quindi le sarà utile riappropriarsi di aspetti di attività, indipendenza e aggressività di solito rimossi o alienati.

Per l’uomo si tratterà di integrare, accanto al nucleo dei propri valori, soprattutto gli elementi caratteriali attribuiti per convenzione all’altro sesso.

Solo in questi termini si sostanzia il recupero della Personalità, non invocando entità astratte e fumose disgiunte dai significati storici e culturali, perché  è necessario rifarsi a condizioni reali di esistenza, cioè alla precisa situazione in cui si trovano gli individui.

È già sufficientemente difficile ricercare e riscoprire le proprie componenti mutilate, senza bisogno di ulteriore complicazione richiamandosi a un progetto irrealizzabile.

Occorre partire dalle proprie contraddizioni: femminile e maschile, omosessuale ed eterosessuale, non sono solo concetti, sono realtà dalle quali muovere e non dal loro immaginario superamento.
È più urgente l’analisi della nostra struttura caratteriale nevrotica, che non la teorizzazione sull’individuo “liberato”.

Il tema del recupero delle parti mutilate assume particolare importanza e pericolosità quando viene riferito all’omosessualità. La discussione sulla “femminilità” è in effetti occasione di scontro e confusione, con critiche che sconfinano nella censura o in sentenze di condanna senza appello.

Ciò non vuol dire che si debba assumere un atteggiamento qualunquistico o di indifferenziato laissez-faire. C’è pure chi crede che la liberazione si conquisti con i lustrini e i boa di struzzo, però non bisogna fare di tutt’erbe un fascio, occorre distinguere.

Il travestitismo e il “checchismo” nascondono realtà di alienazione e condizionamento. Sappiamo che è frutto del potere l’identificazione dell’omosessuale con la figura femminile o pseudo tale, addirittura si potrebbe dire che si tratta di imitazione di un'imitazione, riproducendo un modello di donna a sua volta prodotto di negazione.

Un certo modo di essere omosessuale. inoltre, ripropone l’eterna polarità eterosessuale, contribuendo a sostenere l’idea che senza la contrapposizione dei sessi (reale o formale) non sia realizzabile alcun rapporto, e gratificando una volta di più il potere maschile rassicurato nei suoi attributi di virilità e superiorità.
Se ci si riduce a copiare o scimmiottare l’eterosessualità, si finisce per negare l’omosessualità e accettarne l’oppressione.

Non ci si può arroccare nella difesa strenua di tale femminilità” dicendo che ciò che possiamo conoscere della donna è solo la sua apparenza esteriore. Ciò che la donna è nella nostra società patriarcale, come vive pensa si comporta, prescinde dalla sua personalità, perché la donna-oggetto nasce dalla repressione delle sue potenzialità.
La donna è “altro” sia rispetto al maschio sia rispetto alla donna simbolo creata dal potere fallocratico.

La linea di demarcazione nell’ambito omosessuale può passare tra chi ha consapevolezza della propria condizione di alienazione e chi invece vive di ciò che rappresenta, credendosi effettivamente la figura di cui veste i panni, quindi l’omosessuale che assume passivamente e inconsapevolmente comportamenti da donna-oggetto associandovi un’identificazione psichica.
L’essere checca” è allora al tempo stesso fine a stesso e modus vivendi.

La coscienza  della ruolizzazione può portare alla capacità di usare lo stereotipo in modo positivo, provocatorio e creativo, alla stregua di un gioco sarcastico. L’autoironia è forse la misura della padronanza di se stessi.

Anche ammettendo che la gente recepisca solo il luogo comune dell’omosessuale “checca”, tale giudizio non può prevalere sull’esigenza di espressione individuale, che si può manifestare pure mediante oggetti e atteggiamenti catalogati come “femminili”.

Di fatto, noi lottiamo per annullare il significato feticistico attribuito ad alcune condotte, per esempio vogliamo che un foulard o un orecchino non siano definiti “femminili” o x-y-sessuali, bensì siano riconosciuti esclusivamente come patrimonio di chi ne usufruisce.

Essere soggetti sociali, in rapporto con le masse sclerotizzate nelle loro idee sull’omosessualità, e il doversi porre in un’ottica di incidenza politica non possono voler dire “giacca e cravatta” per tutti.

Il privato è politico proprio nel senso che nella vita privata deve svolgersi la conquista di tempi spazi scambi rispondenti alla volontà individuale di indipendenza, rispetto alle imposizioni della società repressiva.

Non si deve attendere che qualcun altro faccia la “rivoluzione” per potere gestire se stessi in autonomia, non solo perché non accadrà mai, ma anche perché si tratta di “vivere” adesso e di opporre subito all’esistenza-morte delle categorie alienanti un’esistenza vitale senza differire il gioco e il piacere.

Fatte queste considerazioni, parlare di liberazione sessuale significa per l’uomo e la donna ricercare un’identità “originaria” soppressa dall’educazione millenaria. Maschile e Femminile sono categorie storiche e socio-culturali create per la rigida divisione dei sessi e l’esercizio del dominio maschile.
Il trucco, ad esempio, è essenzialmente asessuato, benché le sovrastrutture culturali ne abbiano fatto un codice femminile.

Sia l’uomo che la donna hanno in sé molteplici possibilità espressive, ciò che essi sono alla fine del tunnel della repressione non è che un residuo deforme della primitiva capacità di “essere” e di vivere. Vista da tale angolazione la questione della “femminilità” è importante per ciascun omosessuale e uomo, non nel senso dell’esteriorità, bensì della sostanza.

Essa si configura come riscoperta del Principio Femminile nel mondo (Grande Madre, armonia con la Natura), del Modo Estetico (esistenziale e culturale) di rapportarsi contrapposto al Modo Tecnologico (iper-razionale maschile).

La Femminilità da riconquistare è un modo particolare di “sentire”, creare, la capacità di vivere la tenerezza, l’emotività, la sensualità nella spontaneità dei rapporti interpersonali, tutti “valori” che si possono ricollegare ad un attitudine di fondo della donna.

La “femminilità” è fondamentalmente affermazione dell’Amore sul Potere, l’abiura del principio maschile di violenza così come si è realizzato nella storia.

Oltre questi punti di riferimento non si può procedere nella definizione rigida di ciò che si può o non si può fare, di ciò che è “rivoluzionario” e ciò che non lo è abbastanza, perché ciascuno ha il diritto di percorrere autonomamente la strada della propria liberazione e del recupero della propria “femminilità”.
Ciò che occorre è la coscienza politica di se stessi e della propria alienazione.

Vivere in una situazione di contraddittorietà non permette metamorfosi improvvise, quindi niente voli pindarici ma molto più senso della realtà. 

Mattia Morretta