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Se l’amore (omosessuale) è amore

Bisogno di ammirazione, isolamento sociale, il sesso al primo posto, accumulo di fallimenti sentimentali nella comune esperienza omosessuale hanno tutti in comune un substrato di disistima personale e di sfiducia nella possibilità di essere “amati”, cioè accettati pienamente. Di fatto, si inscena il dramma di non credere all’amore reale da parte di un altro.

Suggerire una potenziale continuità con chiunque mostri un sorriso o un interesse, far mostra di disponibilità affettiva, la saga dei numeri di telefono distribuiti a tutti indiscriminatamente, insinuare l’idea che possa nascere qualcosa dal poco o nulla, sono il più delle volte esercitazioni rituali di fatalisti delle profferte campate per aria, nelle quali non si mette nulla di autentico: si offre ma non si dà niente, e soprattutto non ci si dispone a ricevere.  

L’adulazione e l’ammirazione non sono amore e neppure un preliminare, ne sono già i sostituti. I partner gay insistono entrambi in apparenza sull’amare, benché sia l’essere amato il desiderio ultimo (in posizione passiva). Per assurdo, infatti, quando l’amore è reciproco si cerca di sfuggire alla passività.

La preoccupazione per sé mostra quanto l’altro sia stato e sia determinante. Buona parte del narcisismo di cui gli omosessuali vengono accusati è il prodotto, la conseguenza, e non la causa della mancanza d’amore; un narcisismo secondario o da formazione reattiva all’odio di sé.

Si può evitare il coinvolgimento affettivo pieno per il timore del momento della separazione, data per scontata, prevista sino al punto di essere anticipata di continuo, attraverso il cedimento ad occasioni sessuali o mediante l’analisi minuziosa dei movimenti del partner in altre direzioni. La lente d’ingrandimento della sfiducia cerca e fissa la negatività latente o potenziale, ciò che pregiudica la relazione.

Si tende ad assuefarsi al distacco con decine di piccole separazioni (incontri occasionali), dimostrando di avere il controllo e non risentire degli strappi. Ma all’abbandono non ci si abitua mai.

Non solo, l’ansia abbandonica è tale da consentire solo la reiterazione e ripetizione del trauma originario all’infinito, quale sostanza ultima del rapporto amoroso, dietro la recita dei dinamismi a due. Un’angoscia troppo grande, infatti, non permette di comprendere la circostanze in cui si verifica, ciò che la determina e le possibili soluzioni.

L’incapacità di credere nella continuità affettiva è ricollegabile all’angoscia di castrazione e all’irrealizzabilità del desiderio infantile, che non può venir mai soddisfatto. In particolare, pare pertinente il tema della mancata corrispondenza da parte della madre, che in apparenza è solidale o vicina ma di fatto chiede affetto per sé e non rinuncia all'uomo-padre.

La madre ha richiesto una fedeltà assoluta in cambio di una malcerta e ambigua disponibilità. Si “imiterà” allora la mamma identificandosi col soggetto che ha procurato frustrazione e in fondo ha impedito un rapporto col padre.
Nei legami si riproduce anche il timore di venir assorbiti dalla madre divoratrice, esigente, cannibalica.

Per questo si cerca di dominare il fascino femminile dei sentimenti, che recano il segno della relazione primaria nella quale, sotto le mentite spoglie e facendo leva sull’amore, si sono consumati drammi umilianti con ridimensionamento del sé.
Dalla madre si apprende pure il parassitarismo affettivo di vincolare gli altri mediante il senso di colpa. 

L'ambivalenza è molto accentuata rispetto agli oggetti di interesse amoroso, come mostra bene la ballata di Wilde “Ogni uomo uccide la cosa che ama”, con prevalere della componente disintegrativa a scapito di quella integrativa. La frustrazione sociale della libertà di espressione inoltre sollecita aggressività verso se stessi e i propri "simili"(gruppo omosessuale).

Un ulteriore elemento è l’idealizzazione, che costituisce un modo di sottrarsi all’incontro con uomini reali. L’amore sublime alla madre e il sesso ai ragazzi di Pier Paolo Pasolini, un interesse per i giovani maschi che in verità pare fungere da surrogato con una certa dose di disprezzo.

L’isolamento e la mancanza di consapevolezza sulla natura dei propri "desideri" e sulla loro realizzabilità concreta comportano l’elaborazione di un modello d’amore fortemente idealizzato e carico di attributi fantastici, in cui l’organo dell’amore è ipertrofico rispetto alle possibilità oggettive e soggettive di attuazione, secondo le parole dello stesso Pasolini in una lettera privata.

A conti fatti è davvero minima la disponibilità a vivere l’affettività nella continuità con oggetti alla pari e a impegnarsi nella costruzione a lungo termine di canali comunicativi.

Le motivazioni di base dell'impedimento a strutturare legami con investimento libidico completo sono riassumibili in due punti:
1) Struttura diadica: è impossibile sostituire la madre-fallica, unica capace di garantire sentimento di sicurezza e pienezza; gli oggetti sono solo surrogati incompleti, ciascuno dei quali può rappresentare aspetti parziali dell’imago materna.
2) Struttura triadica: senso di colpa per il tradimento del mondo materno a favore di quello paterno-maschile, nonostante la fedeltà al femminile tramite identificazione primaria e secondaria. In pratica non ci si lega ad un maschio per evitare di sentire d’aver abbandonato la mamma; spesso rivive nell’omosessuale il disprezzo della madre verso il maschile.

La fedeltà alla madre si manifesta non solo rifiutando le altre donne, ma anche evitando il legame amoroso in generale e la comunicazione col padre.

Si fatica a concedere all’altro un suo narcisismo e a considerare la sua esistenza indipendente, perché la preoccupazione per se stesso vieta l’instaurazione di un rapporto non compensativo o di rispecchiamento.

L’unica formula possibile è l’unità a due rassicurante, finita, completa, restauratrice del senso di onnipotenza infantile. L 'angoscia di castrazione di tipo pregenitale determina la fissazione al vincolo di tipo arcaico, simbiotica e basata su bisogni infantili, senza tentare di ri-creare un rapporto attuale riparatore e a misura di adulto

L’omosessuale sostiene l’onnipotenza materna e anche il desiderio del Padre. Il rapporto con la madre viene fantasticato come pieno e rassicurante (garante di completezza), mentre è in esso che è nata la ferita narcisistica e la madre ha trasmesso la propria mancanza e incompletezza.

L’ostilità nei confronti della madre fatica ad essere coscientizzata e vissuta, per cui rimane indefinitamente nel suo derivato che è il senso di colpa verso di lei e finanche nella “nostalgia della mamma”, nonché nell’aggressività verso altre madri possibili.

Il "fallo" viene super-investito in modo compensativo, la sua presenza e azione sono indispensabili per conservare onnipotenza scongiurando la castrazione, poter credere che non si è realizzata, non si realizza e non si realizzerà. 

Ci si esercita di continuo nella capacità di piacere e sedurre sia perché non se ne è convinti sia perché si teme di non venir desiderati senza tale lavorio e le manovre seduttive.

Il bisogno di conquistare e indurre l’altro a cedere è una messa in scena della mancata effettiva conquista della madre. Al contempo è una manipolazione dell’oggetto, si vuole provare la sensazione che l'altro sia stato soggiogato e in proprio potere, senza che ci sia nulla di personale e che si faccia davvero attenzione all’altro.

L’importante è fingere il coinvolgimento, recitare l'affettività, ripetendo la situazione vissuta con la madre che si è servita del figlio, l’ha sedotto per usarlo e poi "abbandonarlo".

Desiderare all’infinito è una maniera di camuffare e misconoscere il desiderio di essere desiderato: “lo accarezzavo perché avrei voluto essere accarezzato”, scrive Busi. Diluire quel bisogno che non si sa come soddisfare e far vivere.

Ne L’uomo dei lupi Freud sottolinea che il bambino sarebbe disposto a rinunciare alla virilità, se in cambio si potesse venir amati “come una donna”.

Essere nella posizione di una “donna” comporta tra le altre cose che si potrà essere desiderati, oggetto sessuale e del desiderio, con un credito di interesse da parte del maschile.

Chi viene così desiderato non è la persona, bensì l’immagine o una rappresentazione, ritornando al punto di partenza del non poter essere amato per quel che si è. 

Mattia Morretta (1984)

Testo originale L'amore in più, Conferenza Centro di Iniziativa Gay, Via Bodoni, Milano