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Tra orgoglio e pregiudizio

Se l’orgoglio può costituire una virtù è perché configura, come sostiene Salvatore Natoli, “un atto di giustizia verso se stessi”, in quanto capacità di tenere in debito conto le proprie qualità. Tale orgoglio sostiene l’idea che abbiamo di noi stessi nutrendola con la consapevolezza delle doti e del valore delle nostre opere.

Da questo punto di vista, tra i gay l’orgoglio è fin troppo scarso, sostituito dai suoi surrogati o dalle sue deviazioni viziose: vanagloria, boria, arroganza, superbia.

Chi ha dovuto vergognarsi o giustificarsi per il solo fatto di provare sentimenti o desideri, ha bisogno di passare attraverso l’orgoglio come strumento di ri-valutazione della dotazione psicosessuale.

Ciò serve per sottrarsi alla degradazione umana e accedere alla dimensione relazionale della sessualità, senza la quale il sesso diventa un gesto fine a se stesso, sterile e persino isolante. Vengono in mente le affermazioni di Michel Foucault: "la mia voglia di ragazzi è sempre stata voglia di relazioni con ragazzi".

Chi si sente spregevole, infatti, tende a fare cose spregevoli; chi si sente colpevole è portato a compiere atti di cui ritenersi o esser ritenuto colpevole.

Non viversi come "sbagliati" per l’attrazione verso persone del medesimo sesso è solo un punto di partenza, non di arrivo; non c’è demerito né vergogna, ma neppure merito nella “preferenza” sessuale.

Ed è lungo, impegnativo e incerto il cammino che porta a dare “orientamento” ai bisogni sessuali, a edificare un’identità omosessuale e infine integrarla nella personalità, giungendo a fare silenzio là dove il militante fa clamore, e non cercare più né conferme né smentite nel mondo esterno.

Quanti si perdono nel primo passaggio dallo stereotipo spregiativo all’identificazione pro-positiva? E quanti si arenano sulle spiagge dei paradisi artificiali gay diventando caricaturali nella convinzione di praticare con orgoglio la trasgressione?

I movimenti di liberazione omosessuale hanno cercato di affrancare gli omosessuali dall’attribuzione aprioristica del discredito e del biasimo nella sfera sessuale. Tuttavia, i malintesi e le ambiguità abbondano.

I manualetti corporativi insegnano come trasformarsi da repressi in liberati grazie alla giusta dose di vanità e approssimazione. Sicché si constata che una buona parte di gay crede di aver conquistato la meta quando non si vergogna più per ciò che fa, mentre se mai dovrebbe non vergognarsi per quello che è.

Ci si è spinti troppo in là, se si arriva a cancellare la distinzione tra persona e comportamento, a far piazza pulita dell’etica nell’ambito affettivo e sessuale.

Forse è il caso di cominciare a coltivare la capacità di avere pudore e provare il sentimento di colpa nelle relazioni coi simili. Vergognarsi delle malefatte nel lavoro politico e della sfrontata maleducazione sessuale, poiché ciascuno va chiamato a rispondere delle azioni e acconsentire alla valutazione sociale di esse.

Dovremmo impegnarci per ridurre la liceità irresponsabile tanto nella clandestinità quanto nelle riserve indiane commerciali, e per promuovere la libertà responsabile nella ufficialità. Farci soggetti, cultori di doveri e del rispetto delle regole.

Va contestato il pregiudizio negativo, non imposto un pregiudizio positivo, occorre contribuire a una valutazione realistica ed equilibrata delle diverse forme di omosessualità, assumendo una posizione obiettiva e non faziosa anche verso gli “altri”, superando le angustie del politicamente corretto.

Il vero nodo è l’assunzione delle responsabilità: occorre scegliere la propria sessualità, sia come inclinazione sia come condotta. Accettando che gli atti siano criticabili o sanzionabili in ragione delle conseguenze negative su di sé e sul prossimo. Se ci si sente responsabili di essere omosessuali, per forza di cose si tiene a esserlo di come ci si comporta.

In molte manifestazioni gay l’amor proprio è latitante, mentre imperversano l’esibizionismo e il protagonismo più puerili, il narcisismo reattivo e la provocatorietà persecutoria, l’autolesionismo camuffato da eroismo e finanche la vigliaccheria sotto le mentite spoglie del coraggio.

Non sono pochi gli attivisti che soffrono di disperato bisogno di attenzione, riconoscimento e risarcimento trasferito dalla dimensione personale a quella sociale.

Troppi interessi privati vengono perseguiti (talora inconsapevolmente) gestendo spazi e strumenti pubblici, gli effetti sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare dall’assenza di una pur minima comunità di appartenenza.

Dobbiamo imparare a praticare ciò che predichiamo: quanto all’amore per il proprio sesso, a partire dal rispetto di se stessi; quanto alla sessualità, valga il motto alchemico: "Non fare mai di nascosto ciò che non puoi fare apertamente"”.

Mattia Morretta
Babilonia, N. 167, Giugno 1998