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Adulti capaci di diventare come bambini

La limitazione dell’intimità fisica nel corso dello sviluppo può danneggiare in maniera irreversibile la capacità di stabilire in seguito legami profondi. L’insicurezza e l’autosufficienza obbligatoria di chi si è visto frustrato o punito per il desiderio di com-prensione generano un’apparente disciplina che si accompagna inevitabilmente alla sfiducia cronica nelle relazioni.

Il blocco in uno stadio precoce danneggia il dispiegamento dell’affettività, perché tutte le interazioni saranno simili a rapporti d’affari e il coinvolgimento non potrà andare oltre un certo limite. Non essendo un automa, però, il soggetto continuerà a sentirsi bisognoso di amore senza saper trovare una via d’uscita e pur pretendendo di funzionare con la freddezza di una macchina.

Anche l’ambivalenza genitoriale induce confusione nel bambino, anzi l’alternanza tra rigidità e accondiscendenza produce ira e ribellione. L’individuo metterà in atto trasgressioni e rivolte per mettere alla prova gli altri e dimostrare a se stesso che può essere amato qualunque cosa faccia, in pratica per verificare di essere accettato per quel che è e non per la buona condotta.

Dato che, nonostante la tolleranza altrui, egli non riesce a credere che tutto vada bene, perché dentro sono radicate le impressioni originarie, ne può derivare una escalation verso l’antisocialità, in sovrappiù alla menomazione della vita affettiva.

Per questo l’equilibrio emotivo di chi si occupa di un bambino è la principale garanzia della sua sicurezza interiore, quella base di solidità da cui può partire il viaggio di scoperta e avventura nel mondo, sessualità compresa, senza che ciò implichi disturbo dei vincoli affettivi o confusione tra sesso, amore e amicizia.

Dopo aver conquistato un certo grado di autonomia da grandi, cerchiamo un rapporto che possa offrirci intimità e realizzazione. Se funziona, ciò ci consente di godere di una nuova base di sicurezza grazie alla quale riprendere il processo di crescita e conoscenza.

La pienezza affettiva con una particolare persona aiuta a vivere gli incontri sociali entro limiti appropriati, evitando di chiedere gratificazioni a situazioni che esigono inibizione emotiva e fisica. Gli effetti benefici di una spontanea intimità fisica lasciano l’individuo emotivamente più libero e più preparato di fronte a circostanze ambientali negative o alle avversità della vita.

Quando invece non ne siamo soddisfatti ci è più difficile fronteggiare stress e prove esistenziali. Le intimità sostitutive e la socializzazione possono sostenerci fornendoci i supporti minimi indispensabili, non possono comunque risolvere le contraddizioni e le frustrazioni perché il bisogno di vicinanza fisica è forte nell’essere umano e può spingere a disperati tentativi di sopperire alle sue mancanze.

Occorre allora aprirsi intenzionalmente ad approcci amichevoli con gli altri e abbassare la guardia. Sembra semplice e non lo è perché i fattori ostacolanti o contrari sono numerosi. Anzitutto, l’atmosfera globale e i modelli tipici delle metropoli occidentali impongono un grado esagerato di autocontrollo fisico, rinforzato dal pregiudizio circa il carattere “infantile” delle tenerezze tra adulti, col risultato di far vivere tutti in un clima di costante frenesia robotica.

Un altro malinteso e grave errore è l’interpretazione di ogni contatto fisico in chiave sessuale. Quando c’è un’amicizia o un’intesa tra due persone, magari accompagnate da qualche piccola emozione sessuale, siamo subito pronti a mettere in primo piano e ingigantire queste ultime, provocando o la sessualizzazione di solito impropria del rapporto o il blocco totale delle intimità fisiche.
E questo non avviene solo tra amici, perché gli stessi amanti finiscono per privarsi del vero elisir di lunga vita.

Non è il sesso, infatti, a dare tranquillità o a contrastare la depressione, bensì la sperimentazione dell’intimità, nella quale vengono deposte tutte le armi, comprese quelle dell’eros. Si tratta di gratificazioni diverse con conseguenze su aree differenti della personalità.

La fusione tra le individualità, in verità, è nutrita proprio dalle componenti non sessuali in senso stretto. Ed è la negazione dell’ abbandono fisico-emozionale tra partner sessuali che porta sia a impoverimento della comunicazione sia all’amplificazione del presunto bisogno sessuale con ricerca all’esterno di altre soddisfazioni.

In troppi usano il sesso per spegnere una fame d’amore e vicinanza che resta inalterata a dispetto del numero di atti e di partner sessuali per via della falsificazione delle proprie esigenze.

Lo slittamento via via più massiccio verso l’impersonalità e l’erotizzazione delle relazioni umane nelle società industrializzate ha fatto esplodere il dramma dell’isolamento e della alienazione, cui tentano di sopperire le tecniche e terapie basate sul corpo, ricreando in laboratorio condizioni oramai impossibili in natura.
Tornando all’impotenza dell’infanzia per un’ora o poco più si spera di liberare energie sepolte e aprire i canali della gioia perduta.

Purtroppo, il bisogno di affidamento e autenticità è minato da un sistema complessivo di vita e lavoro. Vivendo come assediati da ipotetici nemici o potenziali partner sessuali, il ritiro emotivo e lo stato di perenne allerta finanche tra le mura domestiche sono inevitabili, con conseguente senso di lontananza e irraggiungibilità.

La caccia a innocui sostituti dell’intimità non è senza pericoli e non sortisce il risultato desiderato, i surrogati si rivelano insufficienti e a volte impediscono di capire la natura e la radice del problema.

La nostra capacità di adattamento è in parte la nostra rovina perché ci induce pian piano ad indossare una corazza contro i paventati e reali attacchi o tradimenti altrui, a rassegnarci a frequentare estranei, a sostituire alle carezze agognate i colpi della rivalità sociale o della conquista sessuale. Il degrado esistenziale sconfessa i pollici metaforici che succhiamo e le filosofie sofisticate che abbracciamo per giustificarci.

Eppure, qualcosa si può fare da subito: riconoscere le debolezze e le privazioni, e gradualmente operare per costruire spazi protetti entro i cui confini lasciarsi andare, periodicamente e consapevolmente, alla libertà di diventare “come bambini”.

Mattia Morretta (1987)