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C'eravamo tanto amati
Donne e gay separati nella casa dei diritti

Per quanto i prestigiatori progressisti cerchino di tacitare chi rompe le uova nel paniere (giustappunto testicoli e ovaie) con la battaglia contro la gpa, il senso civico è l’unico assente ingiustificato nel contenzioso.

Se il sistema sociale della sessualità è funzionale alle esigenze degli uomini, è “logico” che i maschi gay alzino la voce e avanzino pretese di soddisfazione oggi che sono parificati per legge agli eterosessuali.

Ciò porta a galla la misoginia coperta dietro il velo della valorizzazione gay della donna, tanto che proprio i più politicamente corretti sono disposti a qualsiasi scorrettezza per raggiungere lo scopo, incluso affittare l’incubatrice per i figli-cloni.
In fin dei conti, è la messa in pratica di quel che si racconta ai bambini su come vengono al mondo: il semino messo nel pancino.

Non diversamente dalla monetina nel salvadanaio, per l’uomo in generale l’apparato genitale femminile è il fondo di investimento nel quale far fruttare i propri soldi (la risorsa spermatica), riscuotendone l’interesse (uter è l’otre per i liquidi sessuali maschili).
L’avanguardia gay negli anni Settanta aveva applaudito Viola Valentina che cantava: “Comprami / io sono in vendita / E non mi credere irraggiungibile”.

A sua volta la donna spesso e volentieri vuole estorcere all’uomo il seme per avere il figlio desiderato, per poi tenerlo per sé facendo fuori il padre (incertissimus), magari lottando per ottenerne il riconoscimento se ritenuto conveniente.

Esemplare il caso del calciatore pagato a peso d’oro, che si rivolge ad anonime venditrici (una di ovuli e l’altra di ventre) perché vuole trasmettere i suoi geni senza interferenze né intromissioni (in un senso e nell’altro), una paternità extra-rapporti e contrattazioni con l’altro sesso, affinché la madre non possa accampare diritti e pretese sul figlio, un’affermazione di autocrazia generativa resa possibile dalla ricchezza e della posizione di potere.

A ben vedere l’usufrutto narcisistico, a distanza e dissociato, del grembo femminile non dovrebbe destar sorpresa in coloro che adorano la Grande Mamma o la Casta Diva, oppure immaginano la vagina quale canale di transito, una fessura in concorrenza con l’ano, un’apertura confezionabile e chiudibile, poiché è la verità sottesa a tanta finta condivisione tra gli uni e le altre finché si resta sul piano della comune “controparte”, il mitizzato maschio canaglia per il quale competere.

Il gergo tipico dei gay in merito è una pagina aperta: epiteti al femminile affibbiati ai partner con disprezzo, specie a quelli rivelatisi passivi dopo averli creduti attivi, giocare con l’assimilazione del proprio retto alla vulva, motti di spirito che evocano l’angoscia di castrazione e l’effettivo obnubilamento dell’anatomia genitale, un’operazione di sostituzione sui generis del genere femminile.

Alle dame pro diversi dà fastidio che i loro protetti e apparenti migliori amici si rivelino profittatori e opportunisti, che non guardino in faccia a nessuna e le tradiscano esigendo di prendere solo il pezzo che serve loro, una vivisezione non dissimile da quella abitualmente praticata dagli eterosessuali talora alla lettera.

Eppure, se l’etero vede di buon occhio la bambola gonfiabile e fa a pezzi le barbie delle sorelle (prima di passare a segarle da grande in caso di rottura), l’omo sovente gioca da piccolo con le bambole e può trovare “ovvio” continuare a giocare col pancione di quelle in carne e ossa.

Si consolino le signore, nell’ambiente gay il maltrattamento reciproco è la regola. Fare e rispettare la differenza è il punto, ma non è necessario andar per forza d’amore e d’accordo. Le affinità migliori sono elettive, tra tipologie non sessuali bensì di personalità e formazione.

Mattia Morretta
Articolo pubblicato il primo novembre 2017 sul Blog di Marina Terragni: https://marinaterragni.it/ceravamo-tanto-amati/