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L'ideale del marito
I promessi sposi gay e il matrimonio di interesse

Wilde nell’opera teatrale Un marito ideale (1895) fa dire a Lady Markby “Oggigiorno la gente si sposa più spesso che può, è estremamente alla moda”. Una considerazione d’attualità tra gay, perché lo sposalizio coreografico e di testimonianza è espressione del bisogno di aver successo, conseguire il diploma di rispettabilità e la certificazione di autentica gaiezza, una forma di arrivismo e conformismo al contempo.

La propaganda del movimento glbt ha accreditato il diritto alle nozze quale strumento di miglioramento di status sociologico, rispetto all’abituale oscurità cui era confinata la vita affettiva omosessuale, nell’ottica di passare da poveri a quasi benestanti psicosessuali, una sorta di ascensore sociale per quanti partono dal basso e vogliono salire ai piani superiori.

Tutt’altra cosa sarebbe pensare in termini di cura di sé e progettare come stare bene autonomamente in quanto persone a tutto campo e non partner di qualcuno. Non ci rende neppure conto, infatti, che ora la moneta omosessuale è svalutata, al punto che servono due uomini per farne a malapena uno di cui gli altri possano tener conto!

L’unione civile viene fatta passare per il risultato massimo conseguibile trascurando il fatto che le condizioni di partenza rimangono dispari e non sono compensate né scalfite dalla formalizzazione istituzionale.Peggio ancora, la formula familistica favorisce l’isolamento e l’indifferenza in una società divisa per gruppi di interesse e di pressione. L’ideale del marito sostituisce gli ideali di progresso culturale.
La verità è che si cavalca un’identità “forte” (ruolo matrimoniale e/o genitoriale) per sopperire alla debolezza dell’identità omosessuale.

Proprio la consacrazione pubblica (civile e/o religiosa) è il punto più critico della assertività gay collettiva tramite cambiamento di stato civile. Il matrimonio è diventato l’unica possibile meta dei gaysti perché lo scopo è dimostrare l’uguaglianza con la conquista dell’istituto matrimoniale (cioè patrimoniale), la vetta più in vista e scalabile, creando un precedente in ambito giuridico e una consuetudine nel costume.

L’assunto è che l’accettazione degli omosessuali verrà di conseguenza, una volta normalizzate e normate le coppie nel vicinato e sul luogo di lavoro, quando “la gente” si abituerà a vedere nel condominio i compagni conviventi e in ufficio il collega che usufruisce della licenza matrimoniale.

Quali siano i contenuti specifici della condizione omosessuale, tuttavia, rimarrà un buco nero e pure i rapporti tra omosessuali resteranno anemici, forse ancor più di prima.

Sul piano individuale coloro che si mettono in fila per registrarsi in municipio si vivono quali “militanti” della causa gay, credendo si tratti di dimostrare di avere il coraggio di essere ciò che si è fino in fondo e di superare in tal modo il senso di vigliaccheria o viltà.

Facendone un diritto viene rovesciato il presupposto del matrimonio quale debito tradizionale, al prezzo di confermare l’impianto di soggetti deboli la cui autostima dipende dall’approvazione della famiglia e dall’assomigliare alla maggioranza.

Nonostante le dichiarazioni alla stampa, gli omosessuali che vogliono “sposarsi” sono comprensibilmente una minoranza e ancor meno quelli che vogliono avere o adottare figli - una questione slegata dall’esistenza di una coppia.
Pertanto, invece di imporre il modello unico del procedere due a due verso l’avvenire, non sarebbe meglio dedicarsi a costruire una rete umana e sociale realmente protettiva, in una parola una comunità che abbia posto per tutti?

Mattia Morretta, ottobre 2017