
Ida Magli o il lume della ragione Ritratto a memoria di una mente prodigiosa
• Art a part of Culture, ottobre 2025 A cento anni dalla nascita e quasi dieci dalla morte, nel dannunziano Vittoriale degli Italiani un recente Convegno ha reso omaggio alla nostra più grande antropologa, primo passo per promuovere la conoscenza della sua opera e raccoglierne il testimone di lucida consapevolezza civica.“Quanti secoli ci vollero al sentimento umano per concertarsi in coscienza? Lo dicano gli antropologi” (Ippolito Nievo, Le Confessioni d’un Italiano)
Sì, anche Ida Magli (nata a Roma il 23 giugno 1925 e ivi deceduta il 20 febbraio 2016) a modo suo ha levato il grido “Viva la libertà! Viva l’Italia!”, che nell’Ottocento aveva risuonato nel romanzo di Nievo, dinanzi alle invadenti potenze straniere e le servili autorità locali. Analogo in fondo lo spirito identitario ed etico, nella convinzione che la singola esistenza sia indissociabile da quella altrui, la sorte sempre comune in un dato tempo storico che induce a far la propria parte nello spazio condiviso, “come il cader d’una goccia rappresenta la direzione della pioggia”.
Impossibile tuttavia confinarne la fisionomia nel recinto di definizioni sommarie, tanto vasto il suo campo d’azione ed eccezionale la portata della missione civile, in pratica un’antropologia esemplare spinta sino alla dedizione amorosa per l’oggetto di studio. A differenza di quel che capita con tanti esperti titolati, dal sociologo al filosofo, persino il medico e il prete, i quali osservano sovente con sussiego l’umanità e non di rado l’hanno in odio.
Tra parentesi sul ruolo della classe medica Ida era drastica: “I medici sono stati sempre lo strumento indispensabile per eseguire o controllare quel che di peggio il Potere ha inflitto ai suoi sudditi e prima di tutto ai bambini”. La sua era una vocazione, che trascendeva l’ambito accademico (memorabili i Corsi all’Università La Sapienza) e il compito professionale per investire l’intera vita. Non a caso pochi mesi prima di andarsene ha tenuto a pubblicare un saggio testamento, Figli dell’uomo (Duemila anni di mito dell’infanzia), monito per le generazioni a venire.
Lei stessa in un testo fondamentale del 2007, Il mulino di Ofelia (Uomini e dei), forniva le credenziali: “estrema semplicità” sul piano espositivo e “assoluto rigore” su quello concettuale. E intanto registrava con rammarico la riduzione inarrestabile di lettori di veri libri (“libri-libri”) in parallelo alla fame di risonanza e di facile vendita degli editori. Eppure il risultato era una prosa vivace e musicale, quasi si trattasse di esecuzioni al pianoforte, quello che fungeva da centro di gravità nella sua casa romana, eco del Conservatorio e della passione per le note (in particolare l’adorato Ennio Morricone).
Il suo tentativo negli anni Novanta di far comprendere le nefaste conseguenze delle decisioni assunte dai governanti di turno si fondava proprio sull’onestà intellettuale e morale in quanto antropologa, uno sforzo titanico vano, però del tutto coerente e doveroso. Auspicava l’impossibile, cioè una gestione della comunità rispettosa delle esigenze più profonde della natura umana.
Non una politica asservita alla finanza e alle banderuole dei partiti, o decisa da filosofi sul modello platonico e da psicologi manipolatori del consenso nella società di massa. Il mandato dell’antropologia difatti è tutelare le caratteristiche peculiari dei vari gruppi organizzati, visti ciascuno come unicum, combinazione di genetica, territorio, ambiente, credenze e costumi, un arazzo culturale non riproducibile artificialmente e non esportabile ad altre latitudini.
Da qui la sua inesausta analisi delle creazioni del pensiero, a cominciare dalle religioni (basta citare Gesù di Nazaret, suo capolavoro del 1982), nelle quali traspaiono i passi compiuti dalla nostra specie per poter vivere malgrado la morte, uscire dalla solitudine e venire a patti con le forze soverchianti da cui eravamo e siamo circondati. Dunque forme ritualizzate e stabili di protezione esistenziale edificate con immensa fatica nell’arco di migliaia di anni.
Non sorprende pertanto che riservasse un’attenzione speciale al cervello, all’igiene mentale e al linguaggio, essendo la cultura un prodotto della complessa rete neurale elaborata nel corso dell’adattamento evolutivo. Lo dichiarava con franchezza in una intervista a Radio Rai del 1987: “L’encefalo mangia al pari dello stomaco, ormai sono abituata a un certo tipo di alimentazione, per cui i libri li sfioro e se vedo che mancano di proteine sufficienti per me, li elimino subito”.
E nel partecipe ritratto della santa del piccolo nulla, Teresa di Lisieux (1984), sottolineava proprio la discriminante del fattore intellettivo: “Teresa è sola su di un’isola deserta, e diventa come un Robinson Crusoe: sfrutta tutto quello che possiede, ma che è già precostituito, già finalizzato, per costruirsi una vita sua, senza lasciar cadere neanche una briciola, il più piccolo frammento. Deve alla sua intelligenza il saper far rendere al massimo quel poco che ha imparato”.
Sulla medesima lunghezza d’onda Nietzsche affermava: “L’apprendere ci trasforma, opera l’effetto di ogni nutrizione, che non si limita al mantenimento, come ben sa il fisiologo”. È appunto soltanto aprendo la mente (non gli occhi) che ci si spalanca dinanzi un orizzonte capace di distogliere da piccolezze e miserie, mostrandoci doveri alti e nobili che reclamano la nostra opera.
Per questo, consapevole di quanto conti la coerenza di senso in una comunità, Magli si è impegnata sino all’ultimo per contrastare la destrutturazione sistematica dell’habitat culturale, quell’atmosfera indispensabile per il respiro di animali simbolici quali siamo, atomi intelligenti la cui mente appassisce e si atrofizza nell’impoverimento ambientale. E, accettando di venir fraintesa o relegata a Cassandra, si è opposta strenuamente alla de-contestualizzazione, il processo pianificato di smantellamento di pareti logiche contenitive che ha reso la rete sociale sempre più allentata, con vaste porzioni sfibrate o mancanti, e con inevitabile disorientamento e demotivazione.
Alla fine del 2002 constatava con amarezza: “Non mi lasciano più né parlare né scrivere; ma lo spazio della libertà ridotto allo zero è conseguenza del delirio dei detentori del potere, che ha trascinato il gruppo con sé nella sicurezza del sapere senza sforzo. Stiamo camminando da ciechi sull’orlo del precipizio, ma come fermarli? Se il gruppo delira, nessun delira, non è vero?”.
Infatti ha pagato con l’emarginazione e la manipolazione la fedeltà alla verità, perché i veri pensatori disturbano a differenza dei parolai, dato che le parole inebriano laddove il pensiero risveglia, benché il far pensare lasci negli animi tracce più profonde e durature, suscitando ammirazione (e invidia) al di là della simpatia per l’individuo.
Purtroppo per ridimensionare e svalutare un soggetto scomodo, una personalità ingombrante che mette in ombra le schiere di mediocri funzionari di palazzo e di ateneo, basta farne un nome di grido o una firma di prestigio, una comparsa dello spettacolo mediatico. Così, mentre le si offriva spazio sulla stampa per simulare il dibattito su temi controversi, in maniera subdola la si faceva uscire dalla realtà fattiva e non la si prendeva sul serio. Era successo anche con Pasolini.
E dire che le sue non erano opinioni, bensì concezionifrutto dell’approfondimento sistematico di chi considera l’insieme e non solo le singole parti, in base a una preparazione rigorosa e una perizia oggettiva, da cui derivano visione accurata e previsione. Se si premurava di far capire correttamente i fenomeni, è perché noi non comprendiamo quel che ci appare insensato, non possiamo pensare ciò che non sappiamo e non possiamo volere ciò che non pensiamo. E perché l’agonia ideativa fa venir meno la vitalità morale.
Sicché, svanita la rosa della sua presenza vigile, rimane la spina della nostalgia, di quando potevamo confidare e persino riposare sugli allori della sua capacità di ragionare con lucidità, un argomentare trasparente come l’acqua di un limpido mare che infondeva sicurezza e incoraggiava a nuotare. Ida infatti sapeva che il filo logico su cui cammina in precario equilibrio il buon senso innato è l’unico muro portante che può sorreggere le vite concrete delle generazioni subentranti, con contenuti per lo più subconsci e preconsci, una saggezza carsica che alimenta le nostre limitate coscienze.
In ogni caso la conservazione del tessuto connettivo della mente collettiva è la più preziosa eredità antropologica, salvaguardia contro disgregazione, disidentità, dissociazione, argine all’esondazione di disturbi di personalità e del pensiero spacciati per creatività incuranti della sequela di comportamenti patologici e violenti.
In proposito è evidente che l’ostracismo e la sottovalutazione di cui Magli è stata oggetto era dovuta al fatto che in quanto donna osasse candidarsi a faro o guida concettuale (non musa affettiva, sensuale, artistica, spirituale), cosa inaccettabile per la stragrande maggioranza di uomini, i quali, superata l’età adolescenziale, esigono un capo o a un mentore per la formazione. Se, come lei diceva, il pene cerca il pene, la mente maschile si rispecchia in quella dei suoi simili, non ritiene neanche immaginabile seguire il genere femminile sul piano ideologico; la maestra è adatta alle prime stagioni di apprendimento, poi deve subentrare il Maestro nella maturità.
Perciò al “secondo sesso” è consentito il ruolo di principessa, regina, santa, madonna, nonché condottiera alla Giovanna d’Arco, ma non quello di pensatrice. Inoltre Ida era sovraesposta in pubblico e per giunta sola, cioè a sé stante e non compagna di un uomo che fungesse da garante.
Va ricordato che Jung, proprio nell’anno in cui nasceva Magli, sottolineava che “le idee rappresentano forze logicamente e moralmente irrefutabili e inattaccabili”, esigenze imprescindibili dell’anima umana che sgorgano dal regno della vita procreativa psichica. Perché il cervello non è una tabula rasa e noi non ne possediamo uno del tutto nostro. Il minimo comun denominatore degli esemplari della specie varia però a seconda dei popoli e delle aree geografiche (le civiltà), e si diversifica articolandosi tra maschi e femmine. Quanto importi averne contezza lo dimostra il pasticciaccio brutto dell’eros odierno, la vanificazione delle identità sessuali che pregiudica la sanità mentale di un’intera società, adulterando il simbolismo essenziale per lo sviluppo personologico e le relazioni intime. Ida la chiamava abolizione della Forma, che non è apparenza, bensì profondità nascosta nella superfice.
Ecco il motivo per cui nel citato Il mulino di Ofelia criticava la pretesa di imporre in astratto uguaglianza e parità tra i sessi soprassedendo sul substrato dei rapporti e sui meccanismi psichici di difesa, differenti in base ai contesti sociali e religiosi. E denunciava: “L’esistenza del reato di molestie sessuali è di per sé una drammatica testimonianza dello stato di crisi della civiltà occidentale”.
In effetti il crollo del costrutto millenario della Donna Ideale e la rottura del contratto di reciproca tolleranza tra maschi e femmine non possono venir compensati con interventi legislativi e l’occupazione di posti di comando da parte di figure femminili “troppo sicure di sé, troppo dure e autoritarie” (ma con le gambe accavallate!), “uguali, aggressive, e più che mai basate sul sesso”. Al contrario, distruggere un vecchio o vetusto modello rende urgente e necessario ricostruirne con cura un altro di pari solidità, dato che diviene impraticabile la convivenza con regole implicite, ben più importanti delle norme giuridiche.
Quanto al destino della nostra civiltà, Magli l’ha detto a chiare lettere, pur in castigo dietro la lavagna della classe globale: le culture si trasformano ma non cambiano, tra di esse non c’è reale comunicazione per incomprensione dei codici di fondo, quelle più forti (per potenza bellica, tecnologia, aggressività) vincono, depredano e riducono all’estinzione le più deboli. I sistemi logici distinti e specifici di maya, aztechi, egizi, etruschi, greci, romani, celti, incapsulati in altri insiemi culturali sono diventati finanche ideali intellettuali o estetici, ma non vivono più, se mai sopravvivono in termini di culto dei morti.
Infine, in Contro l’Europa (1997) con lo smalto dell’acuta osservatrice aveva altresì colto un punto cruciale dell’esaltazione odierna: “La convinzione che il Bene ha vinto sul Male, e che l’Uomo, dunque, è buono. L’Unione Europea è tutta costruita su questo presupposto: il regno del Male è finito. Gli Stati e gli individui inaugurano l’Era della bontà”.
D’altronde per Hannah Arendt l’incapacità e il disinteresse a capire ciò che si sta facendo sono più pericolosi degli istinti malvagi, quante stragi e “massacri amministrativi” sono stati perpetrati come atti che andavano compiuti, esecuzioni macchinali o robotiche. Si può forse aggiungere che nel mondo il bene non può vincere, per certi aspetti non deve, difatti perde sempre, ma non si dà per vinto.
Per fortuna il tesoro di Ida, donato con generosità e disinteresse, sono le sue opere, da studiare, meditare e tradurre in vita vissuta, destinate a esser pienamente intese e valorizzate solo in futuro. E se le ceneri dell’esile corpo dimorano al Vittoriale degli Italiani, in un incantevole paesaggio collinare affacciato sul Lago di Garda, ora il profumo del suo spirito, nel silenzio eloquente dell’assenza, è ancora più intenso:
Se smetterò di indossare una Rosa in un giorno di festa, sarà perché al di là della Rosa sarò stata chiamata… (Emily Dickinson, 1858)
Mattia Morretta
